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9 apr 2009

Creativo, e adesso cosa t’inventi?


Le aziende frenano, le agenzie tagliano. Ecco perché
in tempi di recessione ci vuole una marcia in più



Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario. Lei mi crede pianista in un bordello» disse una volta Jacques Séguéla. Parole - quelle del guru francese dell’advertising - che chiunque lavori nel settore oggi condividerebbe di certo. Perché con la crisi che corre, almeno il secondo potrebbe contare su un posto fisso sicuro. Insomma, inutile negarlo, sono tempi duri per chi si occupa di bisogni indotti. Quando la gente ha il problema di come pagare le bollette e l’ansia della quarta settimana, hai voglia a vendergli atmosfere incantate da Mulino Bianco o feste a bordo piscina col pay off di “No Martini, no party”. Non è un mistero. Il crollo dei consumi si è inevitabilmente portato dietro quello degli investimenti pubblicitari (meno 10 per cento in generale, con abissi da meno 30/40 per cento per la raccolta su quotidiani e periodici, secondo gli ultimi dati Upa) e nelle agenzie, quei luoghi dove una volta ci si poteva permettere di profetizzare desideri, evocare sogni, scatenare fantasie, adesso tira aria di risacca. «Le aziende vogliono ritorni immediati e misurabili, sono più oculate e attente ai mezzi su cui investono, gli spot non si buttano e si rifanno da zero ma si ritoccano quelli che già ci sono» dice Guido Chiovato, managing director della Leo Burnett. Altro che le scene cool di Mad Men, la serie cult sul mondo della pubblicità degli anni Sessanta, con i direttori creativi avidi, i loro giochi di potere e i loro festini a base di alcol, sesso e sfrenatezze.

All’indomani degli ultimi party di Natale c’è chi si è visto recapitare la lettera di licenziamento e invece di tornare a casa con i regali si è ritrovato a fare gli scatoloni. In Procter & Gamble, dove il lavoro è organizzato per team a cliente, sono saltati interi staff di persone, dai creativi agli account. Se perdi l’azienda, perdi il lavoro, arrivederci e grazie. Parecchi tagli sono stati fatti anche in McCann-Erickson e tra gli addetti ai lavori gira la voce che sia a rischio anche la sede romana della Saatchi&Saatchi. Qualche settimana fa un’agenzia belga ha perfino indetto un concorso on line per decidere chi sarebbe stato licenziato. Anche se l’iniziativa si è poi rivelata un falso creato al solo scopo di far parlare di sé, è il segnale di che cosa si è disposti a fare pur di apparire creativi in tempi di recessione galoppante. Perché la domanda è proprio questa. Come si fa a vendere (e prima ancora, a produrre idee) quando la gente fa fatica a mettere mano al portafogli? «Non bisogna essere troppo promettenti, si devono evitare i toni mistificatori e l’ottimismo sbandierato, perché le persone non sono mica fesse, ora più che mai il pubblico è scafato e capisce subito chi gli sta vendendo fumo» sostiene Emanuele Pirella, storico fondatore della Lowe Pirella. «Occorre fare un po’ di calduccio, essere dolcemente intrattenenti, ironici, divertenti, senza diventare sgangherati o sarcastici. La gente ha bisogno di un sorriso, di calore, di coinvolgimento». Una lezione condivisa anche da Cesare Casiraghi, direttore creativo di Casiraghi&Greco, la “mente” che ha creato gli spot di Ing Direct (quelli della zucca di Conto Arancio, per capirci) e di Chebanca!, clienti davvero ostici quando la fiducia nelle istituzioni finanziarie è più bassa di Ground Zero e gli italiani metterebbero più volentieri i soldi sotto il materasso che su un conto corrente.

«Noi abbiamo scelto di puntare sul musical perché lo riteniamo un genere leggero ma non caciarone, divertente ma equilibrato, perfino un po’ vintage e quindi rassicurante, evocativo di un’Italia gioiosa e in ripresa» spiega Casiraghi. «E la campagna, infatti, ha dato i suoi frutti. I call center di Chebanca! sono sempre intasati e fuori dalla sede di corso Sempione c’è spesso la fila. Questo dimostra una cosa molto importante, e cioè che non è vero che per i pubblicitari sia un periodo nero, anzi. Certo, abbiamo meno soldi a disposizione, i clienti ci fanno le pulci su tutto, verificano costi e investimenti al centesimo, ma mai come in queste condizioni creare diventa una sfida. Una bella sfida». Credibilità e misurata ironia sono alla base anche della nuova campagna di un altro prodotto oggi considerato “difficile”: i telefonini, che se due anni fa crescevano al ritmo del 16 per cento annuo, oggi sono scesi a ritmi che vanno dall’1 al 5 per cento. Così la Vodafone, per la campagna Più Carica (in cui regala il 20 per cento di ricarica in più ai suoi abbonati), ha deciso di puntare su oggetti quotidiani - un ombrello, la pizza, il ferro da stiro - allargati di una piccola porzione extra in più. Quasi un aumento di cubatura assimilabile (coincidenza?) a quello del decreto Berlusconi sulla casa.

«Proprio per il momento in cui viviamo abbiamo sentito che era giusto puntare sui benefici che il prodotto avrebbe portato alle persone in termini di piccoli piaceri quotidiani» racconta Vincenzo Celli, direttore creativo e copy dell’agenzia 1861 United, che ha seguito l’ideazione e la realizzazione degli spot. «Per esempio un diamante, invece della pizza, ci sarebbe sembrato un oggetto eticamente scorretto da proporre ai consumatori, che mai come ora hanno bisogno di ritrovarsi in un mondo dove imparare ad avere di più dalle piccole cose. Un messaggio che poi si ripercuote sull’azienda che lo diffonde, rendendola più seria e credibile agli occhi del pubblico». Far incontrare valori universali col bisogno di comunicare tagli di prezzo o promozioni varie, quindi, si può. «Perché dal punto di vista delle idee il grande scoglio creato dalla crisi su certi prodotti, come l’auto, è questo: non c’è casa automobilistica che non ci chieda di chiudere una pubblicità senza doverci infilare ecoincentivi, finanziamenti a tasso zero o citazioni di prezzi» aggiunge Chiovato, che ha come cliente il colosso Fiat. «A questo punto abbiamo fatto di necessità virtù e abbiamo deciso di cavalcare questo martellamento sulle cifre, sui dati, sui soldi, che la gente subisce a livello mediatico, creando per il rilancio della Bravo lo slogan “I numeri non sono mai stati così belli”». A questo punto, se è vero che «la pubblicità non solo rispecchia i tempi, ma li anticipa», come diceva Henry Ford, non resta che augurarci che i creativi abbiano al più presto ragione.

corriere

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