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11 apr 2009

La paga dei padroni


L'amministratore delegato della banca Unicredit, Alessandro Profumo, nel 2007 ha guadagnato 9 milioni e mezzo di euro, 25 mila euro al giorno. Quanto un lavoratore medio in un anno. Il dibattito sugli stipendi dei manager sta diventando centrale in tutti i Paesi sviluppati. Solo in Italia se ne discute pochissimo, come se l'argomento fosse ritenuto sconveniente. Questo libro affronta il tema in profondità, analizzando una raffica di casi che lasciano allibiti i piccoli azionisti, i dipendenti e gli stessi clienti delle società quotate in Borsa. Perché nel 2007 le buste paga dei cinquanta manager più pagati sono cresciute del 17 per cento (in un anno in cui sono andati male Borsa e bilanci) mentre quelle dei lavoratori dipendenti solo del 2,3 per cento? Le retribuzioni dei top manager sembrano aver strappato ai salari il titolo di "variabile indipendente". Perché nella classifica dei manager più pagati d'Italia ci sono spesso i grandi azionisti o loro famigliari? Forse perché i capitalisti italiani riescono a comandare nelle aziende con così poche azioni che se dovessero vivere di dividendi sarebbero poveri. Gli autori raccontano, in un linguaggio semplice e ricco di storie, come gli stipendi dei manager aiutino a capire la crisi profonda dell'economia italiana, e di un'industria che sembra non tenere il passo con la competizione internazionale.

Sapete a quanto ammontano gli stipendi di alti dirigenti, manager di primo piano, banchieri, imprenditori di punta del nostro Paese? Cifre da capogiro che è difficile anche immaginare prima di avere letto questo libro denuncia dei giornalisti Gianni Dragoni, inviato de “Il Sole 24 Ore”, e Giorgio Meletti, responsabile della redazione economica del Tg La7. Un libro che «si propone di entrare in un mondo che solitamente predilige il segreto… che ama farsi scudo del latinorum della finanza, fatto di parole inglesi roboanti, di fronte alle quali è difficile non sentirsi inadeguati.»
Dopo La casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, ecco la denuncia della nascita di “una nuova oligarchia” che si affaccia prepotentemente sulla scena economica: “i manager delle società quotate in Borsa”. Il tema – dichiarano gli autori – «ormai tiene banco sui giornali di tutto il mondo. In Italia è stato considerato finora demagogico. Ma davvero strapagare i top manager consente di avere “aziende che crescono e che creano ricchezza?» In questo periodo di seria crisi economica la risposta appare persino scontata. I risultati del lavoro di tanti talentuosi “cervelli” della scienza economica non si vedono affatto e ogni giorno diventano sempre più allarmanti le notizie su tracolli finanziari e crescita zero. Di contro, le retribuzioni dei grandi manager «crescono senza alcun rapporto con il costo della vita e con i progressi delle aziende.» Alcuni casi per tutti: Nove milioni e 426mila euro. «È quanto la banca Unicredit ha dato come compenso per il 2007 all’amministratore delegato Alessandro Profumo. Profumo ha guadagnato oltre 25mila euro al giorno. Quanto un lavoratore medio in un anno. Nel 2005 il bilancio delle Ferrovie dello Stato ha dichiarato una perdita di 472 milioni di euro… la paga dell’amministratore delegato Elio Catania è stata di un milione e 930mila euro, di cui 350mila per il raggiungimento degli obiettivi assegnati.»
Senza remore e soggezioni, i due autori analizzano la situazione del capitalismo italiano partendo dalle retribuzioni dei manager e dei grandi imprenditori. Il loro saggio è basato su dati ufficiali e pubblici, «analizzati secondo una logica puramente economica, relegando tra i sottintesi la convinzione che alla base di ogni fatto economico e sociale ci sia anche, sempre, una questione etica.» Ce n’è per tutti: da Tronchetti Provera e il caso Pirelli-Telecom, alle “Cose di casa Agnelli” con Gianlugi Gabetti, Montezemolo e Marchionne, e poi Mediobanca, da Cuccia a Geronzi; i grandi banchieri, Corrado Passera, Giovanni Bazoli, Matteo Arpe, che racconta di aver lasciato l’americana Lehman Brothers per Capitalia, andando a dimezzare il suo stipendio. Non mancano le famiglie della grande imprenditoria italiana (“quel che resta del salotto buono”): i Pesenti, della calcestruzzi, i De Benedetti dell’Olivetti. E “i nuovi arrivati”: Berlusconi, Benetton, Caltagirone a cui si affiancano i “dipendenti d’oro” e cioè i dirigenti di grandi aziende pubbliche come Autostrade, Eni, Enel, Alitalia. Infine, per i più curiosi, la classifica dei 100 manager più pagati, con tanto di cifre. Nomi, cifre, dati snocciolati in gran quantità e con dovizia di particolari, per riflettere sul sistema di potere e privilegi che domina il capitalismo e l’imprenditoria italiana.


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