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15 ott 2009

La carriera dei «figli di»


Il caso che agita Parigi e le altre dinastie politiche
Non solo Sarkozy jr
Jean, 23 anni, dice di poter guidare l'ente che controlla la Défense. I socialisti francesi: «Il presidente ci adotti»



MILANO - «Sarkozy, adottaci tu». Un gruppo di giovani socia­listi si è presentato ieri all’Eli­seo con tanto di moduli per l’adozione. «Vogliamo essere come Jean». Tutti come il Delfi­no, l’enfant prodige, il figlio biondocrinito del presidente francese che a soli 23 anni, non pago della poltrona di con­sigliere provinciale nel feudo paterno di Neuilly, è diventato il candidato forte per guidare la Défense, il quartiere finan­ziario di Parigi con i suoi 43 grattacieli. Le guardie hanno bloccato lo scherzo degli aspi­ranti fratelli. Non ha scherzato invece Rama Yade, ministra dello Sport, ex «figlioccia ribel­le » di Sarko: l’esponente politi­co più popolare di Francia ha detto in tv che il presidente non dovrebbe ignorare «le emozioni» che il caso ha susci­tato nell’opinione pubblica. Il presidente pensa piuttosto al­le emozioni di Jean «gettato in pasto ai lupi», lui così bravo, così titolato. Altro che nepoti­smo: «In Francia vige la meri­tocrazia». Naturalmente: la penserà così anche Ali Bongo, novello presi­dente del Gabon, pri­mogenito di Omar, de­funto sempiterno lea­der dell’ex colonia fran­cese. Vero che, prima di essere nominato ministro del­la Difesa dal padre, Ali si era messo in luce solo in un’occa­sione, organizzando in patria il concerto di Michael Jackson nel 1992. Però per diventare numero uno ha comunque do­vuto sconfiggere una concor­renza agguerrita (sorella e co­gnato).

C’è chi è più fortunato e non ha rivali in famiglia: Ka­rim Wade, 41 anni, sembra avere la strada aperta verso la presidenza del Senegal, ex Paese modello d’Afri­ca. Figlio di Abdoulaye Wade, che dopo 22 an­ni di onorata opposizio­ne è stato eletto nel 2000, Karim ha fatto la ga­vetta: ha organizzato così be­ne il summit della Conferenza Islamica a Dakar (palazzi mai finiti, inchiesta parlamentare insabbiata) che il papà lo ha promosso ministro della Coo­perazione Internazionale e In­frastrutture. Il Senegal come il Congo di Joseph Kabila, figlio di Laurent che prese il posto del dittatore Mobutu. È colpa di Joseph se il padre fu ucciso da un sicario? Non è ingenero­so sottovalutare le qualità di un banchiere internazionale come Gamal Mubarak, erede designato di papà Hosni alla guida dell’Egitto? In Africa è nepotismo, altro­ve si chiamano «dinastie». Tut­ta (quasi) un’altra storia. Negli Stati Uniti i Bush, in India i Gandhi. In Giappone è prassi lasciare in eredità al pargolo il seggio parlamentare (l’ha fat­to pure Junichiro Koizumi, ex premier rocker con la passio­ne per Elvis). Anche l’Europa ha le sue «famiglie elette». In Grecia ha appena vinto le ele­zioni il socialista George Pa­pandreu, figlio e nipote di pri­mi ministri. Una lunga carrie­ra cominciata come parlamen­tare nell’81, lo stesso anno in cui il padre cominciò a gover­nare.

Ad Atene Papandreu a si­nistra e Karamanlis a destra so­no le grande «case politiche» che si alternano al potere. Al­trove, in certi Paesi del Medio Oriente e dell’Asia Centrale, non c’è neppure alternanza. Assad in Siria, Gheddafi in Li­bia, Aliyev in Azerbaigian: il potere si trasmette con il Dna, come tra gli sceicchi del Golfo o nella partitocrazia del nuovo Iraq democratico, dove il prin­cipale gruppo sciita - dopo la scomparsa di Abdelaziz Hakim - si avvia alle elezioni del prossimo gennaio sotto il comando del figlio Ammar, 38 anni. Successione scontata, in­discussa. Su cui non c’è da scherzare. Niente di paragona­bile alla Francia, naturalmen­te, dove il Nouvel Observateur può permettersi di lanciare un sondaggio tra i lettori: «Secon­do voi Louis, figlio 12enne del presidente, deve essere nomi­nato ambasciatore negli Stati Uniti?». Dal centro-destra po­trebbero ribattere che l’ascesa del biondo Jean Sarkozy non è paragonabile alla caduta di Jean-Christophe Mitterrand, il figlio del presidente-mostro sacro, finito in galera per traffi­co d’armi in Africa sotto l’om­bra dell’augusto padre-intellet­tuale socialista.

Un po’ come Mark Thatcher, figlio uni­co della Lady di Ferro britannica: da playboy ad aiuto-golpista in Guinea Equatoriale (quattro anni di carcere con la condizionale). In Africa è stata (appena) mac­chiata la carriera del figlio del presidente cinese Hu Jintao: quest’estate la commissione anti-corruzione della Namibia ha ventilato il suo coinvolgi­mento in un losco affare da 70 milioni di dollari che ruota in­torno alla compagnia Nuctech di cui era a capo Hu Haifeng, 38 anni. Bustarelle per fornitu­re di scanner. Difficile che Hu junior sia volato a Windhoek per essere ascoltato co­me testimone. Nel frat­tempo lui era già diven­tato «segretario del par­tito » e dunque capo su­premo alla Tsinghua Holdings, compagnia hi­gh- tech della Qinhua Univer­sity a Pechino dove il padre si è laureato e lui si è guadagna­to un master in ingegneria. Senza spinte, certo. In fondo ha fatto più fatica Elena Base­scu, la «Paris Hilton di Buca­rest », a entrare nel Parlamen­to Europeo. La figlia del presi­dente romeno voleva farsi eleggere nel partito paterno, ma la sollevazione della base gliel’ha impedito. Così ha fon­dato un suo partito, racco­gliendo 200 mila firme. Ed è stata eletta. Una lezione per gli altri «figli di»?
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