Il caso che agita Parigi e le altre dinastie politiche
Non solo Sarkozy jr
Jean, 23 anni, dice di poter guidare l'ente che controlla la Défense. I socialisti francesi: «Il presidente ci adotti»
MILANO - «Sarkozy, adottaci tu». Un gruppo di giovani socialisti si è presentato ieri all’Eliseo con tanto di moduli per l’adozione. «Vogliamo essere come Jean». Tutti come il Delfino, l’enfant prodige, il figlio biondocrinito del presidente francese che a soli 23 anni, non pago della poltrona di consigliere provinciale nel feudo paterno di Neuilly, è diventato il candidato forte per guidare la Défense, il quartiere finanziario di Parigi con i suoi 43 grattacieli. Le guardie hanno bloccato lo scherzo degli aspiranti fratelli. Non ha scherzato invece Rama Yade, ministra dello Sport, ex «figlioccia ribelle » di Sarko: l’esponente politico più popolare di Francia ha detto in tv che il presidente non dovrebbe ignorare «le emozioni» che il caso ha suscitato nell’opinione pubblica. Il presidente pensa piuttosto alle emozioni di Jean «gettato in pasto ai lupi», lui così bravo, così titolato. Altro che nepotismo: «In Francia vige la meritocrazia». Naturalmente: la penserà così anche Ali Bongo, novello presidente del Gabon, primogenito di Omar, defunto sempiterno leader dell’ex colonia francese. Vero che, prima di essere nominato ministro della Difesa dal padre, Ali si era messo in luce solo in un’occasione, organizzando in patria il concerto di Michael Jackson nel 1992. Però per diventare numero uno ha comunque dovuto sconfiggere una concorrenza agguerrita (sorella e cognato).
C’è chi è più fortunato e non ha rivali in famiglia: Karim Wade, 41 anni, sembra avere la strada aperta verso la presidenza del Senegal, ex Paese modello d’Africa. Figlio di Abdoulaye Wade, che dopo 22 anni di onorata opposizione è stato eletto nel 2000, Karim ha fatto la gavetta: ha organizzato così bene il summit della Conferenza Islamica a Dakar (palazzi mai finiti, inchiesta parlamentare insabbiata) che il papà lo ha promosso ministro della Cooperazione Internazionale e Infrastrutture. Il Senegal come il Congo di Joseph Kabila, figlio di Laurent che prese il posto del dittatore Mobutu. È colpa di Joseph se il padre fu ucciso da un sicario? Non è ingeneroso sottovalutare le qualità di un banchiere internazionale come Gamal Mubarak, erede designato di papà Hosni alla guida dell’Egitto? In Africa è nepotismo, altrove si chiamano «dinastie». Tutta (quasi) un’altra storia. Negli Stati Uniti i Bush, in India i Gandhi. In Giappone è prassi lasciare in eredità al pargolo il seggio parlamentare (l’ha fatto pure Junichiro Koizumi, ex premier rocker con la passione per Elvis). Anche l’Europa ha le sue «famiglie elette». In Grecia ha appena vinto le elezioni il socialista George Papandreu, figlio e nipote di primi ministri. Una lunga carriera cominciata come parlamentare nell’81, lo stesso anno in cui il padre cominciò a governare.
Ad Atene Papandreu a sinistra e Karamanlis a destra sono le grande «case politiche» che si alternano al potere. Altrove, in certi Paesi del Medio Oriente e dell’Asia Centrale, non c’è neppure alternanza. Assad in Siria, Gheddafi in Libia, Aliyev in Azerbaigian: il potere si trasmette con il Dna, come tra gli sceicchi del Golfo o nella partitocrazia del nuovo Iraq democratico, dove il principale gruppo sciita - dopo la scomparsa di Abdelaziz Hakim - si avvia alle elezioni del prossimo gennaio sotto il comando del figlio Ammar, 38 anni. Successione scontata, indiscussa. Su cui non c’è da scherzare. Niente di paragonabile alla Francia, naturalmente, dove il Nouvel Observateur può permettersi di lanciare un sondaggio tra i lettori: «Secondo voi Louis, figlio 12enne del presidente, deve essere nominato ambasciatore negli Stati Uniti?». Dal centro-destra potrebbero ribattere che l’ascesa del biondo Jean Sarkozy non è paragonabile alla caduta di Jean-Christophe Mitterrand, il figlio del presidente-mostro sacro, finito in galera per traffico d’armi in Africa sotto l’ombra dell’augusto padre-intellettuale socialista.
Un po’ come Mark Thatcher, figlio unico della Lady di Ferro britannica: da playboy ad aiuto-golpista in Guinea Equatoriale (quattro anni di carcere con la condizionale). In Africa è stata (appena) macchiata la carriera del figlio del presidente cinese Hu Jintao: quest’estate la commissione anti-corruzione della Namibia ha ventilato il suo coinvolgimento in un losco affare da 70 milioni di dollari che ruota intorno alla compagnia Nuctech di cui era a capo Hu Haifeng, 38 anni. Bustarelle per forniture di scanner. Difficile che Hu junior sia volato a Windhoek per essere ascoltato come testimone. Nel frattempo lui era già diventato «segretario del partito » e dunque capo supremo alla Tsinghua Holdings, compagnia high- tech della Qinhua University a Pechino dove il padre si è laureato e lui si è guadagnato un master in ingegneria. Senza spinte, certo. In fondo ha fatto più fatica Elena Basescu, la «Paris Hilton di Bucarest », a entrare nel Parlamento Europeo. La figlia del presidente romeno voleva farsi eleggere nel partito paterno, ma la sollevazione della base gliel’ha impedito. Così ha fondato un suo partito, raccogliendo 200 mila firme. Ed è stata eletta. Una lezione per gli altri «figli di»?
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