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12 ott 2009

Tommaso Berger La fiaba amara di un imprenditore



Le fiabe classiche finiscono col “vissero felici e contenti”. Dopo le difficili, complicate, straordinarie vicende di cui sono intrecciate, par scontato che la felicità sia un premio meritato



Ma la vita a volte di diverte a togliere quello che ha dato. E' il caso di Tommaso"Tommy" Berger, cognome al quale è legata una lunga e straordinaria sequenza di prodotti e marchi, dagli antichi Guttalin e Vegetallumina al più recente Caffè Hag e alle acque Sangemini, Fiuggi, Levissima.

La sua autobiografia "Onora il padre" comincia con una frase che fa subito comprendere quanto sarà amaro il finale di questa favola: «Mio figlio ha fatto un sacco di soldi. I miei».

Eppure la storia di Tommy Berger, ebreo nato a Vienna nel 1929, all’inizio sembra proprio una fiaba. Non perché allegra e piacevole bensì, al contrario, perché malgrado le terribili peripezie il protagonista non perde la compostezza irremovibile che lo guida all’obiettivo.

Onora il Padre

All’inizio c’è suo padre. Trasferitosi in Italia per espandere l’azienda familiare e messa su una famiglia propria, Roberto Berger dovrà fare i conti con le leggi razziali che nel 1938 obbligano gli ebrei a svendere. Frattanto con l’Anschluss dell’Austria alla Germania nazista alcuni Berger rimasti a Vienna sono riusciti a fuggire negli Stati Uniti, qualcuno invece ha preferito scendere a compromessi, qualcun altro è stato travolto dalle persecuzioni. Per i Berger italiani ci saranno tentativi fortunosi di espatriare, di ottenere aiuto. Infine la famiglia Berger – padre, madre e i due figli adolescenti Tommy ed Enzo – saranno salvi in Svizzera, benché obbligati ai campi di lavoro fino a fine guerra.

Viene il dopoguerra, ma non seppellisce i ricordi traumatici di un giovane ebreo che ha dovuto subire soprusi e patimenti, che è fuggito per mesi e mesi a rischio della vita, che ha lavorato due anni in un campo profughi, trattato come un miserabile e pezzente apolide, e ha visto sua nonna dissotterrata da una fossa comune. Che è diventato adulto a quattordici anni. Ma il dopoguerra è stagione di rinascita. E per gente dotata di talento e capacità d’iniziativa, il futuro è roseo. L’ascesa della Crippa & Berger, benché turbata dalla morte precoce di entrambi i titolari, è imperiosa. Dapprima nelle farmacie e poi nelle drogherie: il caffè Hag fa fortuna tra gl’italiani per l’aroma identico a quello della bevanda comune, associato a vantaggi cardiocircolatori. L’acqua minerale diventa man mano immancabile sulla tavola degli italiani e poi anche all’estero.

Tommy Berger, diventato capofamiglia e capitano d’industria a ventun anni, nel 1992 cede un’azienda così florida da ricavarne trecentosessanta miliardi di lire in totale, la metà esatta per sé. A sessantatré anni è un uomo ricco che ha raggiunto la vetta dopo una strada tortuosa e ripida, inventando o importando prassi innovative e superando ostacoli che si chiamano cessioni, acquisizioni, concorrenti, ricattatori, minaccia di sequestri familiari. E, buon ultimo, il ciclone Mani pulite.

Sembrerebbe che a questo punto ci sia posto per il “vissero felici e contenti”. E invece no. L’imprenditore soddisfatto che, con tre figli e un mare di soldi in banca (sul capitolo “mogli” è già stato e sarà poco fortunato), s’appresta a dedicarsi al giro del mondo su uno yacht di 40 metri dotato di elicottero, sta per precipitare nell’abisso. I figli gli si rivoltano contro. I consulenti lautamente stipendiati per vegliare sul patrimonio tramano contro di lui. Comincia un incubo kafkiano nel quale proprio ciò che Berger aveva allestito per proteggere sé e i familiari – la figura giuridica del trust, ideata per blindare i patrimoni – gli si rivolta contro fino a gettarlo, da solo, su una strada.

Intendiamoci, Berger non è rimasto povero in canna. Ma fanno impressione il malanimo, la perfidia, la protervia che denuncia in coloro che gli stanno attorno. Se le figlie sono incapaci e i loro mariti sono buonannulla che tutt’al più meritano l’appellativo di “generi alimentari”, il figlio Roberto è descritto come un perdigiorno dedito a scialacquare soldi non suoi e a sperperarli in investimenti poco avveduti, oltre che gettarsi in avventure galanti tra le quali le cronache rosa non dimenticano la liaison con Loredana Bertè, dieci anni più anziana, appassita in pochi mesi una volta cristallizzata in matrimonio.

Se il padre ha preferito vendere l’azienda piuttosto che lasciarla in mano al figlio, quest’ultimo lo ricambia estromettendolo dal patrimonio. Nel 2003 Tommy Berger è fuori: da tutto, perfino dalla barca su cui amava passare le giornate. Gli resta una fettina di patrimonio e un’enorme sete di rivalsa. La battaglia è ricominciata, e questo libro – col puntiglioso elenco di traditori e malefatte – rientra tra gli squilli di tromba.

Il tempo dirà se Berger, che non è un tipo arrendevole, l’avrà vinta anche questa volta come quasi sempre nella vita. Quel che è sicuro, in questa fiaba postmoderna, è che nessuno vivrà felice e contento: troppo alto il prezzo che tutti quanti hanno pagato, in termini di umanità, perché possano godersi ciò che ne ottengono in cambio.

E mentre ammiriamo la forza del vecchio leone amareggiato che non cede, e gli rendiamo l’onore che gli tocca, forse ci viene voglia di concepire un mondo, un’esistenza, dove sia possibile rimettere al centro quell’idea antica di puntare a vivere felici e contenti. Era per questo che una volta si narravano le fiabe.

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