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20 lug 2009

Mozah, la nuova signora della Porsche


Plurilaureata, dopo la visita alla Scala di Milano ha fondato una Philarmonica.
Sette figli e gli affari: è il volto del potere
La moglie preferita dello sceicco del Qatar. Dall’arte
alla musica, così modernizza Doha



MILANO — Prossima conquista: la Porsche, di cui il fondo sovrano Qatar Investment Authority (forte di una do­tazione pari a 62 miliardi di dollari) an­drà a rilevare fra il 20 e il 25% del capita­le, ampliando un portafoglio di parteci­pazioni internazionali che già compren­de il 5,8% della banca inglese Barclays, l’8,16% del Crédit Suisse, il 15,37% della Borsa di Londra, il 6% del gruppo fran­cese Lagardere.

Passa sempre più attraverso i gioielli dell’industria e delle finanza europee la strategia d’integrazione del piccolo pae­se del Golfo nel mondo globalizzato av­viata quasi quindici anni fa dallo sceic­co Hamad bin Khalifa Al Thani, con la forte influenza della sua seconda mo­glie, la favorita, Sheikha Mozah bint Nasser Al Missned. Ma quello del Qatar non è un progetto limitato all’econo­mia e alla finanza. Proprio la «sceicca» Mozah appare in­fatti come la grande ispiratrice di quei cambiamenti sociali e culturali che han­no cominciato a manifestarsi a partire dal 1995, quando lo sceicco Hamad ha preso il potere deponendo il padre men­tre era in vacanza in Svizzera, e che stan­no trasformando il piccolo emirato in un «laboratorio» senza confronti in tut­ta l’area, lontano sia dall’esperienza «conservatrice» saudita sia dalle tenta­zioni «occidentaliste» di Dubai e Abu Dhabi. È lei che ha voluto a tutti i costi l’apertura di Al Jazeera, la più liberal del­le emittenti mediorientali. È lei che gui­da Education City, il polo di studi uni­versitari e di centri di ricerche dove ten­gono corsi prestigiosi atenei internazio­nali come le americane Mellon Carne­gie e Cornell. Ed è lei l’anima di quella Qatar Foundation che in pochi anni è diventata un magnete in grado di attira­re progetti e iniziative da tutto il mon­do nel campo della cultura, delle arti, dell’architettura.

Così, sorretto dagli introiti assicurati dai maggiori giacimenti di gas del pia­neta, il Qatar mostra oggi i segni di un inedito equilibrio: è una monarchia as­soluta poco indulgente verso il dissen­so, con tutto il potere nelle mani di una famiglia che si è fatta Stato, con la legge coranica che regola la sfera privata, do­ve però il milione e mezzo di sudditi go­de del più alto reddito pro capite al mondo (circa 85 mila dollari l’anno, te­sta a testa con il Lussemburgo). I ricchi qatari non rinunciano a piantare la tra­dizionale tenda beduina nel giardino della villa, ma in tv seguono le news di Al Jazeera, viaggiano su potenti Suv eu­ropei, affollano sale cinematografiche dove proiettano film di Hollywood co­me del festival di Cannes o del Sundan­ce Festival di Robert Redford, che pro­prio nella capitale Doha ha ormai una sede fissa. «Cosa intende per democra­zia? — si è chiesta la «sceicca» Mozah intervistata di recente da un inviato del­la Bbc —. Se lei pensa solo ai modelli applicati in Occidente, io rispondo di no. Se lei pensa invece a un processo di modernizzazione, allora dico di sì».

Sposata con lo sceicco Hamad nel 1977 quand’era solo 18enne, plurilaure­ata, madre di sette figli (fra cui l’erede della dinastia), la principessa Mozah s’è ormai ritagliata un ruolo da protagonista sul palcoscenico mon­diale. Il mese scorso a Parigi, durante la ceri­monia in cui è stata ac­colta come membro permanente dell’Aca­démie des Beaux Arts, ha fatto scalpore il suo intervento in cui cita­va l’esempio dell’arti­sta arabo Zinyad, sim­bolo «del dialogo fra le diverse civiltà», che seppe diffondere nella Cordoba ca­pitale occidentale dell’Islam «una sinte­si di culture araba, persiana, indiana e greca» che ha prodotto «una straordina­ria fioritura di attività artistiche». Due anni fa, invece, a Milano per la prima della Scala, ha gettato le basi per realiz­zare il suo sogno di appassionata d’ope­ra: l’istituzione della Qatar Philarmonic Orchestra. L’ha realizzata appena torna­ta in patria. «Sua Altezza desidera solo artisti arabi?», ricorda ancora di averle chiesto Kurt Meister appena incaricato di trovare i musicisti. Ma ricorda soprat­tutto la risposta: «Non mi interessa la provenienza, scelga pure i migliori del mondo».

corriere

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