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19 ott 2010

Per la lista Falciani in programma 5.200 controlli. Viaggio nei dati segreti dell'archivio

«Santo cielo, non lo dica a mia moglie». Squilla il telefono nell'elegante casa milanese e le sue note non potrebbero diffondersi con un tempismo migliore: musica soave mentre la moglie lascia finalmente il salotto per capire chi chiama. È il momento. Lui, il marito si china verso l'uomo che gli siede di fronte, il suo banchiere di fiducia, gestore dei risparmi celati agli sguardi voluttuosi del fisco nei forzieri della Hsbc Private Bank di Ginevra. Si piega in avanti sussurrando con un filo di voce e una sottile inflessione di terrore: «Per carità, non entri nel dettaglio. Aspettiamo di essere soli». Scene da un matrimonio le definirebbe Ingmar Bergman. Soltanto questioni di soldi, in realtà. Perché la cruda verità è che il marito, quel conto fiduciario non ha nessuna intenzione di intestarlo alla moglie.

Non sappiamo come sia finita tra i coniugi. È certo, però, che l'incontro tra il cliente e il gestore della banca finisce nei primi mesi del 2005 in un file riservato della Hsbc di Ginevra, accessibile soltanto a una manciata di dipendenti dell'istituto di credito. È l'archivio che contiene migliaia di visiting report, i resoconti che i gestori del colosso bancario, uno dei più grandi del mondo, redigono dopo ogni incontro e ogni telefonata con i clienti. Documenti protetti dal più assoluto segreto, perché recano tracce dell'origine e delle destinazioni dei soldi, che ora segreti non sono più. I report, infatti, traslocano assieme ad altri milioni di documenti nel computer dell'ex dipendente della Hsbc, Hervé Falciani, sequestrato alcuni mesi fa dalle autorità francesi, mescolati ai nomi di presunti evasori fiscali di mezzo mondo, tra i quali 7mila italiani, per i quali sono in programma 5.200 controlli. E con loro, trasmigrano anche le tracce di società off-shore, trust, fondazioni e altri complicati meccanismi utilizzati per nascondere un flusso di soldi inimmaginabile (guarda il grafico interattivo che spiega come si occultano i dati degli azionisti di una società off shore).

La quantità di visiting report, oggi nelle mani della procura di Nizza e del fisco francese, è impressionante: quasi 19mila rapporti solo nel 2005, altrettanti per ognuno degli anni successivi. In tutto oltre 60mila documenti. Gli autori dei rapporti si sforzano di non lasciar sfuggire elementi sensibili ma inciampano come dilettanti in numerose ingenuità. Alcuni si abbandonano a un entusiasmo da scrittori mancati e vergano righe su righe. Tanto che dal 2006 i rapporti diventano più stringati. Ermetici come una poesia di Ungaretti. È tra i report dei primi mesi del 2005 che spunta la descrizione dell'imbarazzante scena familiare.

Il 19 aprile dello stesso anno un altro gestore della Hsbc incontra il manager di una nota società di consulenza e scrive: «Il cliente mi ha convocato a Milano con urgenza. Ha ricevuto una visita della Guardia di Finanza e dal suo computer sembra che abbiano visto un ordine di trasferimento a noi di azioni della casa madre della società presso la quale ricopre la carica di presidente. Mi chiede di prendere contatti con il suo commercialista per cercare di capire cosa si può fare per evitare complicazioni. Faccio presente che il cliente ha sottoscritto circa due anni fa, con i soldi derivanti dallo scudo fiscale, una polizza assicurativa di 1,5 milioni di euro attualmente depositata in Lussemburgo».

Già, i clienti chiedono aiuto e i gestori della banca sono prodighi di consigli. Il problema è sempre lo stesso: aiutarli a non commettere passi falsi, a rendere i risparmi invisibili al fisco.

Nel resoconto di due telefonate del 15 febbraio 2005, un gestore si allarma per 869mila dollari che una cliente toscana ha depositato in una banca di Montecarlo. La donna vuole riportarli in Italia ma non ha approfittato degli scudi fiscali del 2002 e del 2003. Insomma, i fondi non sono puliti. «Ho proposto di ritirare i soldi in contanti poco alla volta», scrive il gestore. E aggiunge: «Mi domando se il direttore della banca è al corrente dell'ammenda che la sua cliente rischia in seguito all'evasione fiscale! Ho fatto il possibile per dissuaderla dall'effettuare questa operazione». 

Il "pronto soccorso" bancario è attivo senza interruzioni, come un numero verde. Il 5 settembre 2005 la moglie del titolare di un conto vola da Milano a Ginevra per un problema davvero serio. Il marito è azionista di una società di produzioni pubblicitarie televisive nel mondo della moda. «Il conto presso di noi – si lascia sfuggire il gestore – è alimentato dalla parte off-shore di queste attività». E qual è il motivo della visita? Una dipendente è stata colta con le mani nel sacco mentre sottraeva denaro dalla cassa. Andrebbe licenziata ma «purtroppo – rivela preoccupato il banchiere – la persona è a conoscenza di molti dettagli relativi al conto presso di noi e i titolari temono che queste informazioni possano essere usate per ricattarli». Il gestore spiega alla signora che non è possibile «far sparire» il conto ma la rassicura, perché «prima di arrivare a rilasciare eventuali informazioni deve essere seguita una trafila legale piuttosto lunga: il cliente deve essere messo sotto indagine in Italia, deve essere richiesta una rogatoria internazionale e questa deve essere accettata dalle autorità svizzere». La soluzione è subito pronta: dirottare tutto in un trust, magari off-shore.

Il 2005 è un anno magico per i paradisi fiscali. Entra in vigore una nuova normativa europea, la Esd. Prevede una tassazione progressiva sugli interessi dei depositi dei cittadini Ue in altri paesi ma, soprattutto, uno scambio di informazioni tra gli stati. All'accordo aderisce anche la Svizzera. Cosa fare, dunque? Nelle migliaia di visiting report cinque parole sono ripetute come un mantra: «Proposta al cliente soluzione Esd»: tradotto in italiano significa dar vita a società off-shore in paradisi fiscali dove occultare i fondi. La meta più gettonata, scorrendo i rapporti, sembra essere Panama.

Non ci vuole molto per rintracciare i primi casi. Il 1° febbraio 2005 un gestore, estenuato da quattro ore con un cliente che ha dieci milioni da investire, mette nero su bianco: «Proposto soluzioni Esd, più protezione patrimoniale con possibilità di avere un trust ed eventualmente la relazione a Singapore». E conclude: «Il figlio si sposa. Fare regalo di nozze!!!». Ben tre punti esclamativi: il cliente è davvero importante.

Il 28 marzo l'ex dirigente di una grande banca italiana che ha intascato un milione di euro di liquidazione annuncia l'intenzione di costituire una società panamense come «soluzione Esd». E ancora il 5 aprile un altro correntista della Hsbc, manager di una società di hedge fund a Milano, presenta al gestore suo cugino che trasferirà molto presto un milione di euro a Ginevra. «Nel frattempo – recita il rapporto – sta costituendo una società ai fini Esd all'estero». Fatta la legge, trovato l'inganno: la direttiva ha portato ben poche sostanze al fisco italiano. Ma intanto, neppure i soldi dei due scudi fiscali dei primi anni duemila prendono la strada del nostro paese. I report sono implacabili: parte dei fondi regolarizzati finisce in Lussemburgo, in polizze assicurative.

C'è chi utilizza la banca come un salvadanaio: ogni giorno un deposito di 10mila o 20mila euro. Chi, al contrario, come un bancomat di lusso: prelievi da 20mila euro o più, tutti in cash, non tracciabili. E sono imprenditori, manager, consulenti d'azienda, notai e professionisti della moda ad assicurare lavoro e commissioni ai gestori della banca ginevrina. C'è perfino un rabbino di Milano il quale, però, non ne vuole sapere di far contento il suo gestore: i soldi li conserva nei forzieri di Ginevra. E così, il 9 luglio 2005, il banchiere lamenta sconsolato: «Solita visita del cliente per rinnovare il conto fiduciario. Non vuole sentire altro che questo!».

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