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6 feb 2010
Vivere nel lusso? Così il ceo dimentica l'etica
Nell'opulenta Siena del 1250, dove l'oro sarebbe presto arrivato anche sulle tavole dei pittori, il podestà Ubertino dell'Andito emanava una "charta bannorum" con disposizioni contro gli eccessi del lusso, vietando alle dame di indossare perle e fissando compensi massimi per i giullari. Nel 2010, dal campus di Harvard, due professori non propongono leggi contro il lusso, ma si limitano a lanciare un avvertimento: le decisioni prese in contesti lussuosi possono essere potenzialmente nocive per la società. Lo studio che lo dimostra – e che si intitola, guarda caso, "Il diavolo veste Prada?" – è stato pubblicato dalla Harvard Business School a firma di Roy Y.J. Chua, assistant professor in organizational behavior, e Xi Zou, collega della London Business School, che hanno sottoposto i loro studenti a due esperimenti.
Innanzitutto li hanno divisi in due gruppi, consegnando al primo delle foto di beni di lusso, al secondo di beni non di lusso. Poi, gli studenti dovevano immedesimarsi nei panni di Ceo e prendere decisioni per massimizzare il profitto delle loro aziende. Chi era stato "esposto" al lusso si è dimostrato più propenso a produrre un'auto inquinante, un videogame con alto tasso di violenza e un software con dei bachi pur di guadagnare di più. Il secondo esperimento, invece, prevedeva che gli studenti leggessero delle stringhe di lettere composte da un mix di parole "pro-sociali" (come "nice", carino, gentile) e da altre "anti-sociali" (come "rude", villano). Anche in questo caso i possessori di immagini lussuose trovavano un numero di parole "pro-sociali" inferiore a coloro che che avevano davanti beni meno esclusivi. Insomma, alla fine chi era stato esposto al lusso si mostrava potenzialmente disposto a nuocere agli altri e più concentrato su se stesso. Nelle conclusioni del loro studio i professori Chua e Zou non mancano di dare qualche consiglio a manager e politici: «In questo momento di crisi economica globale – scrivono – la gente si sente oltraggiata dai dirigenti che continuano a vivere in modo lussuoso e ignorano le difficoltà degli altri.
Si potrebbe pensare che questo sia frutto di uno scarso senso morale dei dirigenti stessi, ma il fenomeno si può leggere anche sotto una nuova prospettiva: l'essere immersi nel lusso non li aiuta a prendere decisioni orientate a beneficio della società. Forse – concludono – limitare gli eccessi potrebbe indurre i dirigenti a comportamenti più responsabili». Questo significa che un'austera sala riunioni produrrà decisioni più etiche rispetto a quelle prese durante una convention in un resort di lusso? E i manager che viaggiano spesso potrebbero mettere a punto business plan più "altruistici" seduti in una carrozza di seconda classe di un treno piuttosto che in un jet privato? La risposta sembrerebbe positiva.
Un articolo dell'Economist di un anno fa elencava i nomi di manager statunitensi che prima di lasciare i loro dorati uffici con i cartoni sottobraccio, avevano fatto in tempo a ordinare costosi restyling: John Thain, ex presidente di Merrill Lynch e di Bank of America, aveva voluto accanto alla sua scrivania una poltrona Giorgio IV da 18mila dollari e una credenzina da 68mila. Invece Dick Fuld, ex presidente di Lehman Brothers, appena prima di affrontare i processi per il crack della banca e per evitare spiacevoli conseguenze come il sequestro dei suoi beni, aveva venduto alla moglie la loro villa da 13 milioni di dollari in Florida. Per soli 100 dollari. Forse il presidente Obama, più che tetti ai bonus dei manager, dovrebbe seriamente prendere in considerazione un riadattamento dei divieti di Ubertino all'epoca di Wall Street.
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