MONTECARLO - MACINA un po' di pepe di sichuan sul salmone affumicato che la cameriera del lounge bar al Meridien Beach Plaza ha appena lasciato sul tavolino basso in vetro. Poi si stiracchia. "Il fatto è che sono libero, finalmente", dice. E con un pizzico solleva dal torace il maglione di cachemire blu. Il gesto - chi abbia mai frequentato un paddock l'avrà capito al volo - allude all'abbigliamento "in borghese", e cioè all'assenza delle tute del team. "Libero. Se sono qui a parlare con Repubblica è perché l'ho scelto io. Nessuno della Mercedes stamattina mi ha detto: "Va' e parla con quel giornalista". No. Nico vuole parlare, Nico parla".
È la prima intervista da quando ha vinto il mondiale di F1 ritirandosi subito dopo (o da quando si è ritirato da campione in carica, fate voi), e Nico Rosberg ha tutta l'aria di uno che se la vuole godere.
Partiamo dalla scelta di smettere. Sono passati tre mesi, è ancora convinto di aver fatto la cosa giusta?
"Ancor più di prima. Il sacrificio che si deve fare per vincere un mondiale è mostruoso, in termini fisici, personali e relazionali. Per carità, fa parte del gioco. Un gioco bellissimo, che ho scelto io stesso e che io per primo volevo fare. Ma ora che ho vinto - o, meglio, ora che sono arrivato dove volevo - posso dire: grazie a tutti, basta così. Era un'occasione d'oro per chiudere qui il mio libro della F1, c'era anche il lieto fine. Adesso mi godo tutte le altre cose belle che ci sono là fuori. La vita non può essere solo girare in cerchio dalla mattina alla sera, tutto l'anno, su una macchina. Sono un uomo non un criceto!".
Il paragone tra piloti e criceti è un po' forte.
"Diciamo allora: dei bei criceti, ricchi e che fanno una vita fantastica".
Ma sempre criceti.
"Ma sì, senza offesa. La Formula 1 è stata la mia vita fino ad oggi. E vorrei continuare ad avere un ruolo in questo sport. Però ripeto: là fuori c'è tutta una vita da vivere; e se uno fa il pilota è costretto a essere concentrato sempre e solo sulla propria attività, in macchina e fuori".
Suo padre, quando lei intraprese la carriera di pilota, fissò gli obbiettivi: "Vincere una gara, vincere a Montecarlo, vincere un mondiale". Il fatto che lei abbia smesso un secondo esatto dopo aver raggiunto le mete indicate da suo padre dicendo, "adesso sono libero", fornisce una chiave di lettura particolare della sua vicenda sportiva e umana.
"Avere un papà come il mio è stato difficile, soprattutto all'inizio della carriera. Tutti mi guardavano, mi chiedevano del figlio d'arte, sa quante volte l'ho sentita? Mi ha aiutato per carità, ma era ingombrante: sapeva tutto del mondo in cui stavo entrando, quello che dovevo fare, quello che dovevano fare gli altri, ciò che era meglio e ciò che era peggio. Ha funzionato bene. Poi però quando è arrivata la F1 mi sono accorto che qualcosa era cambiato: avevo bisogno di sbagliare, di fare a modo mio. Così una sera abbiamo parlato".
Avete litigato?
"Siamo stati chiari. Credo molto nell'arte di dire le cose come stanno. Penso che se lo facessimo tutti la nostra vita sarebbe più semplice. Da un lato c'era un genitore che voleva agevolare il figlio, dall'altra c'era un uomo che cercava la sua strada. Come andiamo avanti in F1?, ci siamo detti.
Alla fine si è fatto da parte, e lo ringrazio per la leggerezza con cui lo ha fatto. È un tipo emozionante (Rosberg è poliglotta, il suo italiano è quasi perfetto, in questo caso voleva dire emotivo, ma il lapsus era troppo significativo per non riportarlo ndr) e ha saputo gestire al meglio la situazione ed oggi non posso che ringraziarlo per avermi lasciato fare, vorrei sapesse che è solo grazie a questo che ora sono qui a parlare da campione del mondo. E vorrei sapesse anche che adesso so quanto gli è costato".
Ora anche lei è un papà. Che ruolo ha avuto sua figlia nella decisione di smettere?
"Più che mia figlia, la mia famiglia. È la cosa più importante che ho. E ho dovuto chiedere anche a loro uno sforzo enorme, ingiusto. Adesso voglio concentrarmi più che posso su di loro ed essere un padre e un marito migliore. Cosa che ho già cominciato a fare scoprendo che la paternità non è poi così semplice. Se ne parla pochissimo, si dice sempre "i figli sono la cosa più bella del mondo" e nessuno dice di quanto sia complicato, specie per un papà, relazionarsi a una bimba di un anno e mezzo. È bellissimo ma anche faticoso e, diciamolo, a tratti noioso. Sei lì con un'altra persona con cui fai fatica a comunicare e inevitabilmente capita che ti annoi. Poi quando non ci sei ti manca, e soprattutto ti senti in colpa perché quando c'eri ti eri annoiato. Fa parte della relazione, della crescita, della normalità a cui un pilota difficilmente può aspirare".
A sentirla parlare sembra di intravedere dietro tanta lucidità, un percorso preciso, un lavoro psicologico... Si è fatto aiutare da qualcuno?
"Sì. Una delle chiavi del mio successo è stato il lavoro fatto con il mental coach. Lavoravo su quell'aspetto da tempo, ma quest'anno ho intrapreso nuove strade, è stato più intenso ".
Non è solo una moda?
"La filosofia è una moda? Ci sono stati geni nel passato, Epicuro, Seneca, scelga lei, che duemila anni fa hanno vissuto già i nostri stessi problemi, le nostre stesse difficoltà. Siccome erano geni, le hanno anche analizzate e codificate regalandoci degli strumenti straordinari per leggere ciò che ci succede. Nella vita e nello sport".
Sta dicendo che ha vinto il mondiale di F1 leggendo Epicuro?
"Ho fatto un esempio. Dieci anni fa ero geloso di mia moglie, mi dispiaceva quando guardava qualcun altro. Oggi ho capito che il problema non è lei che guarda un altro, ma io che ho bisogno di avere tutta la sua attenzione, e ho rimodulato le mie reazioni di conseguenza. E siamo tutti più sereni. Il punto è che quando capisci le ra- gioni delle tue emozioni, adatti la reazione. E riduci gli errori. Si chiama consapevolezza di sé. Bisogna lavorarci tanto".
Oltre alla filosofia come ci ha lavorato?
"Meditazione. È stata l'arma in più, quest'anno. Un'arte che puoi praticare ovunque, camminando, correndo, sul letto appena ti svegli. Sia chiaro, è un lavoro non una magia, ma se si pratica con costanza e serietà a poco a poco aiuta a migliorare. A me è servito: sono sicuro che dieci anni fa, in una situazione come quella in cui mi sono trovato negli ultimi dieci giri di Abu Dhabi, la gara decisiva, con Lewis che rallentava davanti e io schiacciato tra le due Red Bull e Vettel... Sono certo che mi schiantavo. Invece ero pronto. Non dico che fossi sereno, anzi ricordo che durante la manovra di sorpasso su Verstappen vedevo tutto rosso ed ero tesissimo. Però c'ero. E l'ho portata a casa... Dovrebbero farlo tutti, insegnarlo a scuola: viviamo al limite, sempre connessi incapaci di annoiarci o di stare soli. Accumuliamo storie e siamo sempre meno lucidi. Io, ancora oggi, la prima cosa che faccio ogni mattina è venti minuti di meditazione. Poi è stato molto importante anche parlare. Con il coach abbiamo parlato di tutto, compresi mio padre e Lewis".
Ecco, Hamilton. Una convivenza complicata, la vostra. La stereotipizzazione giornalistica voleva l'inglese nei panni del fuoriclasse talentuoso e invincibile, lei in quelli dello zelante "underdog". Poi lei l'ha battuto ma quegli stereotipi in parte hanno resistito. Si è mai interrogato sul suo talento? Ne ha più o meno di Lewis?
"Ho sempre creduto in me; però è ovvio che lui ne ha molto".
Non ha risposto.
"Perché non ha senso rispondere a questa domanda. Il talento è un concetto inafferrabile, che per altro è annodato a quello di autostima. Quello che è ovvio e che posso dire tranquillamente è che Lewis io non lo batto col talento ma con tutto quello che nello sport c'è oltre al talento; se mi ponevo sul piano del "talento contro talento" magari riuscivo ad andare uguale a lui, ma batterlo no. Per batterlo c'è voluto altro. Ho dovuto lavorare fuori dalla macchina. Ottimizzare tutto, assicurarmi di portare in pista il 100 per cento di quello che avevo, tutte le volte che gareggiavamo. O quanto meno più spesso di lui".
Voi eravate molto amici da ragazzini ai tempi del kart.
"Migliori amici. Una storia da film. Me la ricordo ancora quella sera in Grecia. Eravamo in vacanza insieme. Dopo cena guardando il mare mi fa: "Ma ci pensi quanto sarebbe bello se un giorno ci ritroviamo io e te alla McLaren (al tempo la scuderia più forte ndr) a combattere per il titolo?". Ci pensavo eccome. Era il mio sogno. Pensavo che sarebbe stata la cosa più bella del mondo. Poi è successa davvero e ora posso dire che forse lo è stata, anche se l'amicizia ne ha risentito. È sempre strano un sogno che si realizza: non è mai come te lo immaginavi ".
Ora lui continuerà a fare il criceto e lei farà altro. Magari potrete tornare amici.
"Be' ora che non c'è più competizione spero di sì. Mi piacerebbe. Stavamo bene insieme. Molti dicono che è un ragazzo strano, io penso che sia unico. Lo conosco alla perfezione, so come funziona il suo cervello, so tutto di lui".
Recentemente lei ha dichiarato che avrebbe voluto vedere Alonso prendere il suo posto in Mercedes.
"Da appassionato di Formula 1 non avrei potuto sperare in niente di meglio, Alonso contro Hamilton dieci anni dopo, sarebbe stato uno spettacolo unico. Ma capisco che la "soluzione Bottas" ha più senso per la Mercedes".
Si dice che Bottas stia tenendo il posto a Vettel per il 2018.
"Be' il contratto con la Ferrari finisce quest'anno, per la Mercedes sarebbe una soluzione sensata: ne parleranno certamente".
Schumacher nel 2007, al momento di ritirarsi, confessò di voler fare il bagno nell'oceano con le balene: un suo sogno che non aveva mai potuto realizzare per
"Molto più banale: vorrei sciare, per contratto non potevo. E poi prendere lezioni di chitarra".
Michael Jordan nel '93 disse che si ritirava per essere libero. Al limite anche libero di rientrare e ricominciare a giocare a basket per scelta e non più per inerzia.
"Giusto, ma io non mi ci ritrovo. La mia storia da pilota di F1 è chiusa. E non la riaprirò".
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