Noi stiamo con Sally Yates, una vera eroina americana. #RESISTERE” posta l’account ufficiale della Marcia delle Donne. “Un eroe legale, ben lontana dal tradire il Dipartimento di Giustizia” rimarca il Financial Times. E poi centinaia di commenti e messaggi di supporto twittati dall’America che resiste, che combatte contro un presidente che non ha scelto.
Il popolo si schiera con lei, con Sally Yates, l’ex procuratrice generale Usa e ministra ad interim licenziata in tronco da Donald Trump per aver manifestato perplessità sull’ordine esecutivo anti-immigrati e ha osato sfidare il presidente comunicando lunedì ai propri 113.00 dipendenti :“Fino a quando sarò Attorney General (il corrispettivo del nostro ministro della Giustizia, ndr) in funzione, il Dipartimento di Giustizia non presenterà contenziosi in difesa dell’ordine esecutivo a meno che non mi convinca che è appropriato farlo”.
La reazione di Trump dunque non si è fatta attendere: lunedì sera, una lettera recapitata a mano comunica a Sally “la traditrice” il suo repentino licenziamento dal Dipartimento di Giustizia. “Yates ha tradito il Dipartimento di Giustizia rifiutando di applicare l’ordine creato per proteggere i cittadini degli Stati Uniti” ha dichiarato la Casa Bianca in un comunicato. E poi prosegue: "La signora Yates è stata designata dall'amministrazione Obama, è debole in materia di frontiere e molto debole in materia di immigrazione illegale”. Parole volutamente provocatorie e offensive, ma senza alcun fondamento: la sua biografia racconta tutta un’altra storia, dove di debolezza non c’è ombra.
56 anni, nata ad Atlanta, laureata in legge all’Università di Georgia, sposata con due figli, Sally Yates ha iniziato nel 1989 una carriera trentennale all’interno del Dipartimento di Giustizia Usa come assistente di un procuratore nel distretto nord della Georgia. Ha poi collaborato a vari casi significativi di corruzione politica e frodi finanziarie, e nel 1996 ha portato avanti l’azione legale contro Eric Rudolph, l’autore dell’attentato durante le Olimpiadi di Atlanta.
Nel 2010 Barack Obama l’ha posta a capo della procura locale, facendone la prima donna a raggiungere quella posizione e apprezzandone l’integrità e indipendenza di pensiero.
Da lì la carriera è stata in continua ascesa, tant’è che nel 2015, quando il procuratore generale Usa Eric Holder palesa a Obama l’intenzione di lasciare l’incarico, l’allora presidente sceglie proprio lei come vice a Loretta Lynch, ricevendo un supporto bipartisan. L’appoggio ricevuto anche da destra non è stato mai totale: tra i suoi critici più duri spunta per ironia della sorte il nome di Jeff Session, il suo successore.
Yates (a destra) durante un incontro con Obama
Nel nuovo ruolo si è dimostrata una donna forte, più volte in grado di “far fermare a riflettere l’amministrazione Obama su politiche da lei ritenute dannose”, come rivela l’ex portavoce del dipartimento Emily Pierce.
Responsabile del “programma di grazia” dello Studio Ovale, con il quale Obama ha reso più clemente la pena a centinaia di spacciatori non violenti, ha scritto due anni fa il cosiddetto “Yates memo”, che ha reso una priorità federale la persecuzione dei singoli individui negli esecutivi delle grandi società per azioni perseguibili (e non più solo della società nel suo intero). Infine, il mese scorso era tra coloro che hanno annunciato i provvedimenti contro Volkswagen dopo lo scandalo delle emissioni: 4,3 miliardi per reati civili e criminali.
Il suo mandato, come descrive il suo profilo nel sito del Dipartimento di Giustizia Usa, si è caratterizzato per “gli sforzi verso il rafforzamento della sicurezza pubblica, la riforma del sistema della giustizia criminale, la garanzia di responsabilità individuale per i membri delle corporate e lo sviluppo del sistema carcerario”. Obiettivi in grande contrasto con l’attuale amministrazione Usa, che pure le aveva espressamente chiesto di rimanere nel suo ruolo fino all’approvazione della nomina di Session.
Yates ha accettato, ma questo non ha significato venir meno al suo principio fondante, pagandolo con la destituzione: perseguire la giustizia è più importante che portare casi federali davanti alla corte. Ribadendo così il concetto espresso pochi giorni dopo la nomina a vice Lynch nel maggio 2015: “Non siamo il Dipartimento per le Persecuzioni e neppure il Dipartimento per la Sicurezza Pubblica, siamo il Dipartimento di Giustizia”.
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