Incontro con Fini, il leader leghista meno netto sul ricorso alle urne se cade il governo |
Il feeling tra i due è rifiorito già da qualche giorno. Domenica pomeriggio, cinque ore dopo la conclusione della fiammeggiante Convention futurista di Bastia Umbra, Gianfranco Fini si era sentito direttamente con Umberto Bossi. E assieme avevano deciso di vedersi in settimana. L'incontro è stato successivamente fissato per la giornata di oggi ed è stato preparato nella massima riservatezza. Per tanti motivi. Uno molto serio: Silvio Berlusconi è stato informato della iniziativa di Bossi, ma non ha conferito al capo della Lega «alcun mandato specifico», come fa sapere uno degli uomini più vicini al premier.
Un'indiscrezione questa che cambia la natura dell'incontro di oggi tra Bossi e Fini. La cambia anche alla luce di quel che il presidente della Camera ha confidato, nella massima riservatezza, ai fedelissimi che sono andati a trovarlo nelle ultime 48 ore. Il senso delle confidenze finiane è questo: vediamo cosa dirà Bossi, ma da quel che ho capito nessuno scenario si può escludere, neanche il più hard.
Tanto per cominciare, i capi leghisti hanno fatto sapere - e questa sarebbe una novità molto corposa - di non essere più interessati ad elezioni anticipate. Per tanti motivi, non ultimo l'impatto sull'opinione pubblica veneta della recente alluvione. E dunque, Bossi va da Fini anzitutto per capire «cosa voglia fare da grande» il presidente della Camera, quali siano le sue ambizioni per il medio-lungo periodo.
Premiership? Quirinale? Da parte loro gli ambasciatori leghisti - altra significativa novità - hanno fatto sapere a Fini di non avere pregiudiziali per il prossimo governo, neppure verso un Berlusconi-bis con dentro l'Udc. Ma è la subordinata ad animare il chiacchiericcio: da parte leghista non ci sarebbero pregiudiziali neppure verso un nuovo governo di centrodestra con un premier diverso da Berlusconi. Scenario da brivido che naturalmente la Lega non indicherà mai come preferenziale e che Bossi farebbe discendere da un evento a lui sgraditissimo: la constatazione che Berlusconi non ce la fa a reggere il campo.
E sempre nelle chiacchierate informalissime di queste ore risulterebbe confermato anche l'identikit dell'unico premier che per la Lega potrebbe prendere il posto del Cavaliere: ovviamente Giulio Tremonti. E se davvero dovesse prendere quota un rinnovato governo di centrodestra, i finiani hanno già fatto conoscere i propri desiderata. Vogliono entrare nella cabina di regia, in altre parole chiedono una vicepresidenza del Consiglio (Fini non è interessato perché resterebbe a Montecitorio) e almeno due dicasteri. E quanto alla riforma della legge elettorale tra i finiani circola l'ipotesi di una modifica apparentemente banale al Porcellum: assegnare il premio di maggioranza ma solo alla coalizione che supera il 45%.
Un escamotage per ripristinare il proporzionale e funzionale al Terzo Polo che ieri ha tenuto il primo summit informale di una storia ancora tutta da scrivere: Gianfranco Fini è stato raggiunto nel suo studio da Pier Ferdinando Casini e da Francesco Rutelli. E' la prima volta che i tre si incontrano, per così dire, alla luce del sole e forse proprio ieri è iniziata una nuova storia. Un lungo scambio di impressioni e anche un minimo comun denominatore: la legge Finanziaria di Giulio Tremonti deve andare in porto, in un rapporto corretto con la parte più moderata dell'opposizione. Ma una volta archiviata la legge di stabilità, si aprirà la crisi di governo.
Il primo atto propedeutico alla crisi, immaginata per gennaio, consiste nelle dimissioni della delegazione finiana al governo. In assenza di una risposta ufficiale di Berlusconi alla proposta di allargare la maggioranza all'Udc, si era pensato di far dimettere oggi la delegazione. Ma sarebbe stato uno sgarbo annunciare il ritiro proprio mentre il Presidente del Consiglio era impegnato in una missione all'estero così importante come il G20.
Salvo colpi di scena, le quattro lettere di dimissioni dal governo partiranno lunedì 15. Oggi si parte col Bossi-Fini. Nelle trattative i leghisti sono stati chiari: vogliamo un incontro riservato e proprio per questo la sede del faccia a faccia resterà segreta fino alla conclusione del confronto.
Un'indiscrezione questa che cambia la natura dell'incontro di oggi tra Bossi e Fini. La cambia anche alla luce di quel che il presidente della Camera ha confidato, nella massima riservatezza, ai fedelissimi che sono andati a trovarlo nelle ultime 48 ore. Il senso delle confidenze finiane è questo: vediamo cosa dirà Bossi, ma da quel che ho capito nessuno scenario si può escludere, neanche il più hard.
Tanto per cominciare, i capi leghisti hanno fatto sapere - e questa sarebbe una novità molto corposa - di non essere più interessati ad elezioni anticipate. Per tanti motivi, non ultimo l'impatto sull'opinione pubblica veneta della recente alluvione. E dunque, Bossi va da Fini anzitutto per capire «cosa voglia fare da grande» il presidente della Camera, quali siano le sue ambizioni per il medio-lungo periodo.
Premiership? Quirinale? Da parte loro gli ambasciatori leghisti - altra significativa novità - hanno fatto sapere a Fini di non avere pregiudiziali per il prossimo governo, neppure verso un Berlusconi-bis con dentro l'Udc. Ma è la subordinata ad animare il chiacchiericcio: da parte leghista non ci sarebbero pregiudiziali neppure verso un nuovo governo di centrodestra con un premier diverso da Berlusconi. Scenario da brivido che naturalmente la Lega non indicherà mai come preferenziale e che Bossi farebbe discendere da un evento a lui sgraditissimo: la constatazione che Berlusconi non ce la fa a reggere il campo.
E sempre nelle chiacchierate informalissime di queste ore risulterebbe confermato anche l'identikit dell'unico premier che per la Lega potrebbe prendere il posto del Cavaliere: ovviamente Giulio Tremonti. E se davvero dovesse prendere quota un rinnovato governo di centrodestra, i finiani hanno già fatto conoscere i propri desiderata. Vogliono entrare nella cabina di regia, in altre parole chiedono una vicepresidenza del Consiglio (Fini non è interessato perché resterebbe a Montecitorio) e almeno due dicasteri. E quanto alla riforma della legge elettorale tra i finiani circola l'ipotesi di una modifica apparentemente banale al Porcellum: assegnare il premio di maggioranza ma solo alla coalizione che supera il 45%.
Un escamotage per ripristinare il proporzionale e funzionale al Terzo Polo che ieri ha tenuto il primo summit informale di una storia ancora tutta da scrivere: Gianfranco Fini è stato raggiunto nel suo studio da Pier Ferdinando Casini e da Francesco Rutelli. E' la prima volta che i tre si incontrano, per così dire, alla luce del sole e forse proprio ieri è iniziata una nuova storia. Un lungo scambio di impressioni e anche un minimo comun denominatore: la legge Finanziaria di Giulio Tremonti deve andare in porto, in un rapporto corretto con la parte più moderata dell'opposizione. Ma una volta archiviata la legge di stabilità, si aprirà la crisi di governo.
Il primo atto propedeutico alla crisi, immaginata per gennaio, consiste nelle dimissioni della delegazione finiana al governo. In assenza di una risposta ufficiale di Berlusconi alla proposta di allargare la maggioranza all'Udc, si era pensato di far dimettere oggi la delegazione. Ma sarebbe stato uno sgarbo annunciare il ritiro proprio mentre il Presidente del Consiglio era impegnato in una missione all'estero così importante come il G20.
Salvo colpi di scena, le quattro lettere di dimissioni dal governo partiranno lunedì 15. Oggi si parte col Bossi-Fini. Nelle trattative i leghisti sono stati chiari: vogliamo un incontro riservato e proprio per questo la sede del faccia a faccia resterà segreta fino alla conclusione del confronto.
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