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25 nov 2010

Lorenzo Cola: l'uomo Di Finmeccanica - Torna alla ribalta l’Italia dei faccendieri -

Torna alla ribalta l’Italia dei faccendieri

Torna alla ribalta l’Italia dei faccendieri. Dalla prima alla seconda Repubblica la solfa non è cambiata. E di personaggi che si muovono con scaltrezza e abilità nelle pieghe della politica e dell’economia italiana, che sbrigano, risolvono, mettono in contatto il tale con il talaltro, muovono soldi, risorse e sfruttano legami e relazioni, ce ne sono in abbondanza.
Prima di Tangentopoli tra i nomi più conosciuti c’erano uomini di livello, come Luigi Bisignani o Gioacchino Albanese, ora ci sono Gennaro Mokbel o Walter Lavitola.
Negli ultimi mesi alcuni di loro sono saliti alla ribalta nelle inchieste sulla cosiddetta P3 oppure sullo scandalo del G8 della Maddalena o, ancora, sulla casa di Montecarlo in cui ha abitato il cognato del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Eccone una rapida carrellata.

Gennaro Mokbel e quell’appartamento affittato al killer di De Pedis

Gennaro Mokbel, 49 anni, imprenditore di orgini egiziane, esperto di finanza creativa, è cresciuto a Roma nel quartiere Nomentano.
La sua passione è sempre stata la politica, soprattutto quella di estrema destra che l’ha portato ad avere rapporti con Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, i due Nar condannati per la strage di Bologna del 1980. Nel corso degli anni ha saputo coniugare la politica con la finanza anche grazie all’aiuto della moglie, Giulia Ricci.
Prima della cosiddetta “operazione broker” del febbraio 2010, che l’ha portato in carcere insieme con l’amministratore delegato di Fastweb Silvio Scaglia, Mokbel finì sui giornali grazie all’arresto di Antonio D’Inzillo nel 1992, estremista di destra, anch’egli ex esponente dei Nar, accusato dell’omicidio di Enrico De Pedis, detto Renatino, uno dei capi della banda della Magliana.
La casa dove fu arrestato D’Inzillo apparteneva proprio a Mokbel, in questi giorni al centro delle cronache per lo scandalo di presunti fondi neri nel quale sarebbe coinvolta anche Finmeccanica (leggi qui).
Secondo gli inquirenti, l’affare Digint, cioè l’ingresso nel 2007 di Mokbel nel capitale della Financial Lincoln, la controllante lussemburghese della società partecipata al 49% da Finmeccanica, potrebbe non essere stato un episodio isolato.

Lorenzo Cola e quel biglietto per New York

Lorenzo Cola, il «super-consulente» del presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini, arrestato nel luglio 2010 nell’ambito di un’indagine su appalti pubblici aggiudicati ad aziende che non avevano competenza in materia, è in questo periodo sotto torchio da parte della magistratura.
Cola, 44 anni, avrebbe parlato di società private trasformate da «scatole vuote» in «collettori di appalti in attività strategiche come la difesa aerea e l’assistenza al volo».
I lavori affidati a queste imprese, in cui Cola avrebbe avuto un ruolo importante, sarebbero stati usati per creare una contabilità occulta, con i soldi in parte reimpiegati per pagare tangenti a politici o manager.
A luglio, quando fu arrestato, i carabinieri lo trovarono con le valigie pronte e un biglietto aereo in mano con destinazione New York. Secondo l’accusa Gennaro Mokbel avrebbe versato il denaro su conti esteri intestati a Cola, attraverso bonifici fatti da Toseroni, acquisendo così il 51% della Digint (il restante 49% è invece riconducibile a Finmeccanica).

Arcangelo Martino, da Craxi a Berlusconi

Ora agli arresti domiciliari, l’imprenditore campano Arcangelo Martino, 65 anni, è quel che si può definire un faccendiere tout-court, passato dagli anni di Bettino Craxi a quelli di Silvio Berlusconi.
Finì in carcere l’8 luglio 2010 assieme a Flavio Carboni e Pasquale Lombardi con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla violazione della cosiddetta legge Anselmi sulle società segrete nell’ambito dell’inchiesta sullo scandalo P3: insieme agli altri esponenti della «cricca» avrebbe cercato di condizionare i giudici o le loro nomine, spesso senza successo.
Ha collaborato con i magistrati e anche con i giornalisti, cosa che gli ha inimicato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi: dopo un’intervista al Fatto Quotidiano il Cavaliere ha deciso di querelarlo tramite il suo legale Niccolò Ghedini.
Eppure Martino e il premier erano grandi amici. Lo aveva detto lo stesso imprenditore al Corriere della sera, in un’intervista nella quale si vantava di aver presentato al premier la famiglia Letizia, i genitori di Noemi.
«Fra l’87 e il ’93», disse Martino, poi smentito da Bobo Craxi, figlio dell’ex segretario del Psi, «sono stato grande amico di Bettino Craxi. Ero il coordinatore regionale del partito e lo vedevo almeno una volta alla settimana. Tutti i mercoledì andavo a trovarlo a Roma all’Hotel Raphaël, una consuetudine. Mi accompagnava sempre qualcuno dello staff della mia segreteria e quel qualcuno è stato quasi sempre Elio Letizia. Ovviamente…». Nella stessa conversazione con il Corriere della sera, Martino ricordava pure l’antica amicizia di suo padre Raffaele, iscritto al Pci, con l’attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Flavio Carboni tra la prima e la seconda Repubblica

Una condanna definitiva a 8 anni e 6 mesi per la vicenda del fallimento del vecchio Banco Ambrosiano e una serie di assoluzioni, fra cui l’accusa di concorso nell’omicidio dell’allora presidente della banca milanese, Roberto Calvi, dopo che il pubblico ministero aveva chiesto la condanna all’ergastolo. Sono solo alcuni scampoli giudiziari del faccendiere sopravvissuto alla prima Repubblica e protagonista persino nella seconda.
Dopo l’arresto, l’8 luglio 2010, per lo scandalo P3, a Carboni è stato confermato il carcere il 23 novembre 2010, perchè secondo il tribunale del Riesame è capace di «interferire, spesso determinandole, sulle scelte di organi costituzionali e di pubblica amministrazione».
Dal suo primo arresto, avvenuto in Svizzera nell’estate del 1982, la vita di Carboni è stato un continuo andirivieni tra aule di tribunale e arresti, quasi sempre revocati.
In comune con Mokbel avrebbe avuto, come appare sulla risultanze giudiziarie, rapporti con uomini vicini alla banda della Magliana. Il suo nome compare perfino nella vicenda del sequestro di Aldo Moro, rapito dalla Brigate Rosse nel 1978.
Carboni avvicinò esponenti Dc offrendosi di intercedere sulla mafia per la liberazione dell’allora presidente del partito. Qualche giorno dopo Carboni riferì però che la mafia non voleva aiutare Moro perchè troppo legato ai comunisti.
Il nome di Carboni è comparso persino nel falso dossier di Demarcus pubblicato su l’Avanti, dove si sosteneva un legame tra Stefania Ariosto e i servizi segreti nella vicenda legata a Cesare Previti nel preocesso Sme.

Aldo Brancher, già uomo di Dio

Dal 1993, quando passò tre mesi a San Vittore, unico uomo Fininvest a finire dietro le sbarre ai tempi di Tangentopoli, Aldo Brancher ne ha fatta di strada. Il 18 giugno 2010 fu nominato ministro per il Federalismo. Una carica durata lo spazio di un mese, tra polemiche feroci che coinvolsero persino il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Veneto di Belluno, classe 1943, Brancher da giovane fu prete paolino. C’è chi dice che fosse un sacerdote troppo bello per l’abito talare, che infatti abbandonò dopo pochi anni. Entrato in Publitalia, concessionaria di pubblicità del gruppo Fininvest, è stato il braccio di Fedele Confalonieri a Roma nei primi anni ’90.
Raccontano certe cronache che durante la reclusione a San Vittore, l’attuale presidente di Mediaset e Silvio Berlusconi girassero in macchina intorno al carcere nella speranza di mettersi in contatto «mentale» con Brancher.
Superato l’incidente del ’93, l’ex sacerdote si buttò in politica con Forza Italia. L’incubo di Tangentopoli, per lui, è tornato nella stagione dei cosiddetti furbetti del quartierino e delle scalate di Stefano Ricucci a Rcs e di Giampiero Fiorani (Popolare di Lodi) ad Antonveneta.
Una vicenda intricata, in cui entra dalla porta di servizio pure la storia di Credieuronord, la banca voluta dal leader del Carroccio Umberto Bossi, poi fallita, con oneri di liquidazione a carico dei vertici di via Bellerio.
In uno stralcio dell’interrogatorio dell’ex banchiere, condannato a due anni di reclusione per la vicenda Antonveneta, l’ex sottosegretario racconta come venivano distribuiti i soldi, dalla moglie di Fiorani al ministro per la semplificazione, Roberto Calderoli, la cui posizione nel processo è stata stralciata: «Una somma nel 2003 sul conto della moglie; 100 mila euro nel 2004 che ho consegnato in ufficio a Lodi per ringraziarlo per l’attività in Parlamento per aiutare Fazio (l’allora governatore della Banca d’Italia, ndr); 100 mila euro nel 2005; 200 mila euro a Lodi quando ho consegnato a Brancher la busta che doveva dividere con Calderoli perché il ministro aveva bisogno di soldi per la sua attività politica».

Lavitola, il mondo è piccolo

Accusato in diretta tivù a fine settembre 2010 dal capogruppo alla Camera di Futuro e Libertà, Italo Bocchino, per aver fabbricato “la patacca” sull’affaire Montecarlo in cui è stato coinvolto Gianfranco Fini, Walter Lavitola, 45 anni, non ha perso in questi mesi nè lo smalto nè, soprattutto, l’amicizia del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
Anzi, il giorno dopo l’accusa di aver falsificato il documento che proverebbe che il presidente della Camera è proprietario dell’appartamento monegasco, Lavitola è stato avvistato dalle parti di palazzo Grazioli in compagnia del Cavaliere. «Ogni tanto passo a salutarlo. Che male c’è?», ha risposto serafico ai giornalisti.
Del resto, il rapporto con il premier è di ferro. Durante il viaggio in Brasile del presidente del Consiglio, nel luglio 2010, i giornali locali titolarono a tutta pagina: «Berlusconi con sei ballerine a una festa».
Secondo alcuni l’organizzatore della festa sarebbe stato proprio Lavitola, che oltre ad aver indagato come giornalista sulla casa di Montercarlo in cui abitava Giancarlo Tulliani, cognato di Fini, potè fregiarsi del titolo di organizzatore di feste per il Cavaliere in Sud America.
In politica dal 1984 con il Psi, aderì a Forza Italia nel 1994. È imprenditore nel campo dell’import-export, ma è soprattutto grande amico del capogruppo alla Camera del Pdl, Fabrizio Cicchitto, e del ministro per la pubblica amministrazione Renato Brunetta.

Laid Ben Fathi Hidri, l’autista

La vicenda del tunisino Laid Ben Fathi Hidri ha delle analogie con la storia di Mario Chiesa, l’ex presidente del Pio Albergo Trivulzio da cui partì l’inchiesta che travolse la prima Repubblica. Dalle testimonianze di questo semplice autista del costruttore Diego Anemone è infatti partita la maxi inchiesta sui lavori del G8 alla Maddalena.
Lo ha messo a verbale lui stesso durante il suo interrogatorio del 25 marzo 2010. Fathi aveva svelato di aver «ricevuto la delega a operare sui conti di Anemone» e di aver consegnato «buste dal contenuto misterioso a vari soggetti, compresi ministri». Un faccendiere che oltre a oliare la macchina politica e amministrativa si è adoperato pure nell’ambito dello spettacolo.
Così raccontò ai magistrati: «Balducci (Angelo, ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici) era in contatto con registi famosi ai quali faceva regali costosi. Questi rapporti credo fossero finalizzati a favorire la carriera di attore del figlio Lorenzo. Andavo io a ritirare questi regali presso il negozio Spada e Anatriello».

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