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12 apr 2010

Gelo tra Premier e Colle sugli aggettivi



Irritazione, «gelo», addirittura uno sfogo telefonico con Gianni Letta che offriva le sue scuse personali: «Non bastano. Se non si trattasse del presidente del Consiglio, dovrei dire che siamo alla presenza di un bugiardo che dice una cosa la mattina e fa l’opposto la sera, oppure di una persona dissociata e afflitta da disturbi schizoidi». Parole e musica, secondo Eugenio Scalfari, di un Giorgio Napolitano infuriato dopo il discorso del Cavaliere, che a Parma si è lamentato perché «ogni provvedimento del governo viene sottoposto al presidente e al suo staff che ne controlla pure gli aggettivi». E un altro scontro ugualmente duro, stando sempre all’articolo del fondatore di Repubblica, sarebbe avvenuto anche l’1 aprile.

Dal Quirinale nessun commento ufficiale: Napolitano ha già formalmente smentito, e solo qualche settimana fa, il vicedirettore del quotidano romano e non ritiene opportuno intervenire ancora sugli stessi soggetti che gli tirano la giacchetta. Però qualcosa trapela comunque. Innanzitutto la ricostruzione presenta molti errori e imprecisioni. La prima lite è vera, ma è postdatata, come un assegno ballerino. È vero cioè che il premier se la sia presa con i consiglieri giuridici del Colle e che Napolitano li abbia difesi definendoli «validissimi servitori dello Stato». Ed è vero che la sera stessa Berlusconi ha chiamato il presidente chiedendo scusa per le parole «sopra le righe» dovute allo stress della campagna elettorale, promettendo «di non farlo più».

Peccato che quell’episodio - già noto, finito su tutti i giornali, raccontato persino sul sito internet del Quirinale - sia accaduto un mese prima, all’inizio di marzo, dopo la bocciatura delle liste Pdl in Lazio e in Lombardia. Berlusconi salì al Colle accompagnato da diversi ministri con una bozza di decreto per cercare di aggiustare le cose. Il capo dello Stato giudicò il testo non sufficientemente coperto dal punto di vista costituzionale e suggerì al Cavaliere un’altra strada. Il colloquio finì in maniera piuttosto tesa e, nonostante la telefonata successiva di Berlusconi, provocò una rottura dei rapporti tra i due presidenti, riannodati solo dopo il voto.

Marzo dunque, non aprile. Del resto, fanno notare sul Colle, non avrebbe avuto senso che il premier cercasse lo scontro con il capo dello Stato nei giorni scorsi, quando la legge sul legittimo impedimento era ancora al vaglio del capo dello Stato. Quanto al secondo impatto, qui c’è qualcosa di più realistico. Sicuramente il capo dello Stato non ha gradito la doccia scozzese a cui lo ha sottoposto il premier, che prima lo ha ringraziato per aver sfidato la sinistra dando il via libera allo scudo giudiziario, poi lo ha informato che la sua uscita parigina sul semipresidenzialismo era stata fatta, parole di Scalfari, «solo per fare un favore a Fini», infine a Parma si è lamentato per il potere di controllo sulle leggi che la Carta assegna al Quirinale.

Quindi, al di là dei virgolettati citati da Scalfari sui quali non esistono conferme, c’è senz’altro «stupore e malumore». Ma anche la consapevolezza che non è la prima volta e nemmeno l’ultima che emerge questa dissonanza tra i due palazzi. Berlusconi vuole più poteri e meno intralci per governare, Napolitano, anche per il suo ruolo, difende le sue prerogative. E sta valutando se sarà il caso, uno di questi giorni, di ricordarle pubblicamente.

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