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8 mar 2010

La Regione Lazio dispone il ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto salvaliste


Nuovi affondi del leader dell'Italia dei Valori al capo dello Stato dopo la firma del decreto della maggioranza
Monsignor Mogavero invoca "il rispetto delle regole". I vescovi precisano: "Nessun giudizio su questioni tecniche"
Liste, Di Pietro ancora contro il Quirinale
Sul decreto critiche e smentite della Cei
Berlusconi: "La sinistra è ammanettata all'ex pm"
E la Regione Lazio firma il primo ricorso alla Consulta


ROMA - Il giorno dopo è come il giorno prima. Antonio Di Pietro continua a lanciare i suoi strali contro il Quirinale. La firma di Giorgio Napolitano al decreto salva-liste varato dal governo è una mossa che l'ex pm non ha mandato giù. E non lo nasconde. Nel mirino finiscono il presidente e chi lo difende. "Dico no al falso perbenismo da parte di chi sostiene che la colpa si asolo di chi ha commesso questo fatto grave lasciando fuori le responsabilità di chi doveva fare il controllore" dice Di Pietro. Riferimento chiaro al Pd, che da ieri, cerca di tenere distinti gli attacchi al Pdl dal giudizio sul comportamento di Napolitano. Che, per Di Pietro, invece, sono due facce della stessa medaglia. In serata il commento di Silvio Berlusconi: "E' ancora il momento di fare una scelta di campo, tra il governo che risolve le emergenze e fa le riforme e una sinistra, ammanettata a Di Pietro, che sa solo dire di no e seminare pessimismo". E in serata la giunta regionale del Lazio, riunita al completo in seduta straordinaria, ha approvato all'unanimità una delibera che dispone il ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto.

Di Pietro: "Mandare a casa questi golpisti". "Siamo di fronte ad un governo e una maggioranza che modificano le regole a proprio uso e consumo. La strada principale per mandare a casa questi golpisti - aggiunge Di Pietro - è il voto e credo che gli elettori si siano già resi conto che siamo di fronte ad un governo e una maggioranza che usano le istituzioni per farsi gli affari propri e per modificare le regole del gioco durante la partita: è stato superato il senso del limite".


Ancora contro il Quirinale. Dopo la richista di impeachment di ieri, il leader dell'Idv continua sulla strada dello scontro diretto con Napolitano: "Tutti dicono che il decreto è incostituzionale. Il comportamento del capo dello Stato nell'avallare il decreto golpista è stato inutile e dannoso: inutile perché non serviva e non serve per risolvere situazioni già risolte dai giudici". Una condanna netta "dell'arbitro" che non ha fischiato "il fallo".

"Tutti in piazza il 13 marzo". E allora Di Pietro chiama alla mobilitazione di sabato prossimo. In piazza a Roma, con il Pd, i radicali e le altre forze della sinistra. "Il 13 marzo ricordatevi che se vogliamo mantenere la democrazia è meglio essere tutti a Roma a lanciare questo appello e questo allarme, prima che sia troppo tardi". Ma il democratico Merlo avverte: "In piazza, ma contro la destra non contro il Colle". Di Pietro ne ha anche per il Pd: "Non accettiamo lezioni".

Il Pdl: "Di PIetro è un troglodita". Immediata la replica del Pdl. "Di Pietro è un troglodita" dice Fabrizio Cicchitto. Tensione alle stelle. Tanto che torna a farsi sentire Romano Prodi: "Sono senza parole. C'è proprio da avere paura, stavolta" dice l'ex premier intervistato dal Riformista.

Berlusconi: "Sinistra ammanettata a Di Pietro". In serata l'intervento del premier, con un video, registrato, trasmesso all'incontro pubblico promosso dal Pdl a Torino. "E' ancora il momento di fare una
scelta di campo - dice Berlusconi - tra il governo che risolve le emergenze e fa le riforme e una sinistra, ammanettata a Di Pietro, che sa solo dire di no e seminare pessimismo e catastrofismo, una sinistra che vuole uno stato di polizia dominato dall'oppressione giudiziaria e tributaria". Il presidente del Consiglio elenca le "cose clamorose" fatte dal governo, dai rifiuti in Campania alle abitazioni ai terremotati dell'Abruzzo, dagli aiuti alle imprese "e a tutti quelli che hanno perso un lavoro, estendendo gli ammortizzatori sociali agli autonomi". E conclude: "Se la sinistra tornasse al governo rimetterebbe l'Ici, raddoppierebbe la tassazione di Bot e Cct, spalancherebbe le porte agli immigrati per rovesciare la bilancia elettorale".

Il caso Cei. La questione del decreto crea anche un piccolo caso all'interno dei vescovi. Tutto inizia in mattinata quando viene diffusa un'intervista a monsignor Domenico Mogavero responsabile per gli affari giuridici della Cei, realizzata prima dell'approvazione del decreto e della firma di Napolitano. Le parole del prelato fanno rumore perché il riferimento alla vicenda è palese: "Cambiare le regole del gioco mentre il gioco è già in atto è altamente scorretto, perché si legittima ogni intervento arbitrario con la motivazione che ragioni più o meno intrinseche o pertinenti mettono in gioco un valore. Le regole sono a garanzia e a tutela di tutti". Affermazioni che il vescovo ribadisce, poco dopo, all'Ansa: "Un brutto precedente, frutto di un atteggiamento arrogante della maggioranza che ha preteso di aggiustare tutto senza riconoscere le proprie responsabilità ".

Affermazioni pesanti verso il governo. Che una nota della Cei cerca di ridimensionare poco dopo: "Le questioni di procedura elettorale hanno natura squisitamente tecnico-giuridica e hanno assunto nelle vicende degli ultimi giorni ricadute di tipo politico e istituzionale. Considerata questa connotazione la Cei non ha espresso e non ritiene di dover esprimere valutazioni al riguardo".

Il ricorso della Regione Lazio. La giunta, riunita in seduta staordinaria, ha approvato un documento in cui si annuncia un ricorso alla Corte Costituzionale: "Le norme varate dal governo sono illegittime e gravemente lesive delle competenze che la Costituzione riserva alle regioni. Si ravvisa dunque la necessità di promuovere in via di assoluta priorità ed urgenza la questione di legittimità costituzionale avanti la Corte Costituzionale per declaratoria di incostituzionalità delle disposizioni del decreto, previa sospensione cautelare dell'efficacia delle medesime". Una scelta che ha provocato la reazioni di rappresentanti nazionali e locali del Pdl: "Si capisce che non vogliono le elezioni".

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