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3 feb 2010

L’Europa frena la vendita online

Nuove norme per regolare il mercato in crescita

L’Europa frena la vendita online
«Si torna ai negozi»

«Tutelare i consumatori». Gli operatori: scelte illiberali

(dal web)
(dal web)
BRUXELLES - Quarant’anni fa nasceva Internet, e ormai da oltre vent’anni «clicchi e compri», come diceva un vecchio slogan: cioè acquisti i tuoi prodotti sulla rete, da venditori senza volto. Scarpe, giubbotti, giocattoli, libri, si compra e si vende praticamente di tutto. E pure in saldo: un sito italiano di scarpe, l’altro ieri, vantava saldi con sconti fino al 70%, «per 150 marche e 5000 modelli». Ma anche gli imbrogli, o i semplici intoppi, abbondano. Specialmente negli acquisti oltre confine, governati da leggi di nazioni diverse: in Europa il 61% delle ordinazioni «online» da un Paese all’altro, secondo gli ultimi dati della Commissione Europea, non va in porto per una qualsiasi ragione. E a volte, seguono liti senza fine. Per questo, ora, la stessa Commissione vuole mettere ordine, vuole riarmonizzare le varie direttive comunitarie sui diritti dei consumatori varate dagli anni ’80 in poi. È stata avviata una consultazione con gli Stati-membri, gruppi di esperti sono al lavoro. E si pensa anche a piantare dei paletti legislativi.

Per esempio, protesta Greg Greeley, vicepresidente commerciale di Amazon, in un commento pubblicato ieri dal Wall Street Journal, si pensa a emarginare dalla rete i venditori puramente «virtuali», si vorrebbe obbligarli ad avere prima un negozio «vero», 4 mura con bancone, cassa e commesso, se vogliono poi commerciare sul Web. Come? «Le regole all’esame della Ue consentirebbero ai produttori di articoli quotidiani, come i giocattoli o i prodotti da cucina, di esigere dai loro venditori al dettaglio che abbiano un negozio tradizionale (letteralmente «di mattoni e malta», ndr) e che in quel negozio vendano un certo quantitativo di quei prodotti, calcolato in volume o in valore». Greg Greeley è il vicepresidente del settore al dettaglio di uno dei più grandi fra i venditori puramente virtuali, e cioè Amazon Europe: il colosso in grado di spedirti a casa quasi ogni libro mai stampato al mondo, pur senza avere una libreria «fisica». Perciò può dire, dal suo punto di vista, che quella di Bruxelles è una forma di «discriminazione », il tentativo di «soffocare la competizione dei venditori online, gente che lavora duro per assicurare efficienza a prezzi più bassi». E c’è anche chi avanza, per così dire, obiezioni più ideologiche: secondo Jeremy Zimmermann, fondatore di un’associazione per la difesa delle libertà digitali nella Ue, limitare le vendite online attraverso nuove regole «è sbagliato, e comunque sarebbe come cercare di vuotare il mare con un cucchiaio ».


Dal fronte opposto, gli esperti della Commissione chiariscono però che oggi è il consumatore, non il produttore, a non essere sufficientemente protetto sulla rete: se hai ordinato una fiammante cyber sveglia prodotta in Finlandia e a casa ti arriva un cipollone ansimante «made in China», a chi puoi chiedere giustizia? E se al posto di un acquario da salotto ricevi un truogolo da stalla? Per dirla con Meglena Kuneva, la commissaria uscente ai diritti del consumatore: «i consumatori europei meritano di meglio». L’ipotesi del «negozio di mattoni e malta» più o meno obbligatorio per chi vuole vendere anche su Internet, è effettivamente fra quelle che Bruxelles sta studiando. Ma ce ne sono anche molte altre, e le consultazioni andranno probabilmente avanti per un bel po’ di tempo. Anche perché tutta la materia, sul piano legislativo e su quello tecnico-amministrativo, è tremendamente complessa. E tanto per cambiare, sono enormi gli interessi in gioco: oltre 150 milioni di cittadini dei Paesi Ue, sempre secondo i dati di Bruxelles, hanno comprato una o più volte qualche prodotto su Internet, in patria o al di là del confine, per un giro d’affari complessivo che nel 2006 superava già i 106 miliardi di euro. Cifre non lontane da quelle del gigantesco mercato americano, e concentrate soprattutto su 3 mercati: Gran Bretagna (dove il 57% dei navigatori su Internet ha acquistato beni o servizi online durante l’ultimo anno) Francia (66%), e Germania. Quanto all’Italia, sta a metà fila con la Grecia e il Portogallo: nel 2008, il 10% dei suoi consumatori adulti aveva fatto almeno un acquisto online, e magari in saldo.

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