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16 gen 2010
I figli «bamboccioni»? Vanno mantenuti
Padre divorziato smette di mantenere la figlia 32enne, studentessa fuori corso da 8 anni. Il giudice gli dà torto
MILANO - Un artigiano trentino è stato condannato dal Tribunale di Bergamo (dove ora vive con una nuova famiglia) a pagare gli alimenti alla figlia 32enne (iscritta fuoricorso da 8 anni alla facoltà di Filosofia) avuta da una moglie dalla quale aveva divorziato. Il papà aveva smesso di pagarle il mantenimento quando lei aveva 29 anni, poiché non si decideva a laurearsi.
LE SENTENZE - La decisione unilaterale di interrompere i pagamenti non è però stata considerata legittima dal giudice. Il sessantenne trentino ha dovuto versare alla figlia «bambocciona» (secondo la definizione che dei figli che restano ancora a carico dei genitori anche in età adulta diede l'ex ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa) 12mila euro, comma che comprende gli arretrati, nonostante fino a tre anni fa avesse versato alla figlia l'assegno di mantenimento, come il Giudice di Pace di Trento gli aveva imposto nella sentenza di divorzio dalla moglie, «fino a quando la figlia non sarebbe diventata autosufficiente».
LO STOP AI PAGAMENTI - Ma l'uomo, come riporta il quotidiano «Trentino», dopo nove anni aveva deciso di chiudere i rubinetti e di smettere di mantenere la figlia, che non concludeva mai gli studi. Forse il tentativo di dare una smossa alla ragazza, rimasto però senza esito. La giovane per tre anni non si è lamentata, ma dopo avere recentemente bussato alla porta del padre ed avere ottenuto il rifiuto di un rinnovato mantenimento si è rivolta al giudice, ottenendo ragione. Se il genitore non avesse pagato sarebbe scattato il pignoramento dei beni.
CALDEROLI: ERRORE - In merito alla vicenda, ha parlato di «errore clamoroso» il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, che ha espresso la sua «solidarietà» al sessantenne. «Le sentenze vanno rispettate, ma questa a mio giudizio rappresenta un errore clamoroso - spiega Calderoli -. Il povero genitore ricorra tranquillo in appello e in quella sede, o in Cassazione, troverà applicazione non soltanto del diritto ma anche del buon senso».
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