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18 set 2009

Per i promotori finanziari la sfida più difficile


Tempi duri per tutti...ma alcune categorie sono veramente al centro del terremoto!



Provateci voi a dare il consiglio giusto su come impiegare i soldi degli altri. Magari in piena crisi finanziaria, peraltro, quando le banche fallivano al ritmo di una al giorno, quando buona parte delle certezze costruite in 150 anni di storia dei mercati finanziari venivano spazzate via da una valanga di ordini di vendita, quando migliaia di bancari lasciavano con gli scatoloni in mano la loro sede di lavoro. Oppure dopo, quando le Borse si sono riprese e hanno iniziato a correre, come accaduto negli ultimi mesi, e tentare di far recuperare più di qualcosa ai propri clienti. Provateci voi ad avere la responsabilità del benessere o semplicemente dei risparmi di un cliente, nel bel mezzo di una crisi sistemica. Metterci la faccia, ottenere in cambio fiducia.
Sotto pressione sono finiti in particolare i promotori finanziari. Una categoria che, regolata sin dal 1991 con un apposito albo, dopo una fase di espansione (1999-2004) è stata recentemente costretta a ripensare al proprio modello. Negli ultimi anni si è imposto il cosiddetto multibrand, con reti che distribuiscono prodotti di più case: un fenomeno che ha spinto i professionisti ad affinare le proprie conoscenze, dedicando più tempo alla preparazione e focalizzando l'attività non solo sulla pura vendita ma anche sulla consulenza. La selezione di mercato ha fatto prevalere i migliori, quelli con i portafogli più consistenti.
«Si, è un momento difficile», dice Dino Cardone, 78 anni, pescarese, da 37 nel mondo della consulenza finanziaria, prima in Fideuram e poi in Azimut. «I clienti sono diventati molto diffidenti, restii perfino a sottoscrivere un titolo di stato. È fondamentale quindi proporre soluzioni semplici, chiare, anche perché qualche scelta non azzeccata c'è stata da parte di tutti. In più di trent'anni di lavoro, però, la crisi peggiore è stata forse quella del 2001: a livello psicologico il crollo delle Torri gemelle e quello che ne è conseguito è stato più forte del fallimento di Lehman Brothers. Si era innescato il timore di perdere qualcosa non solo a livello patrimoniale ma soprattutto a livello personale, la famiglia, i propri cari. Che cosa insegnano questi momenti? Che nel nostro lavoro la parte più importante sta nello stare vicino al cliente in ogni fase, in particolare nei momenti di maggiore difficoltà».
Cosa che fanno anche i consulenti indipendenti. Sono proprio loro la novità del settore. Un po' evoluzione e un po' alternativa alla figura del promotore finanziario, questa professione ha trovato una definizione normativa con la Direttiva Mifid (è oggi un'attività soggetta alla vigilanza Consob così come la promozione finanziaria). Prima i consulenti "fee only" (pagati a parcella e non in ragione dei prodotti collocati) operavano liberamente, ma la loro attività non era riconosciuta giuridicamente. Il percorso normativo non ancora concluso porterà a fine 2009 alla nascita dell'Organismo incaricato di gestire l'albo professionale. Per potersi iscrivere - come nel caso dei promotori finanziari - sarà necessario fare un esame.
«Telefonate preoccupate ne abbiamo ricevute, però non abbiamo avuto alcun freno nella nostra attività», racconta Claudio Botteghi, 28 anni di Rimini, da due attivo presso Skema come consulente indipendente. «Anzi abbiamo avuto un vero e proprio boom di clienti, venuti da noi spinti da una crisi che ha messo a nudo un certo modo di fare finanza. Li abbiamo conquistati grazie a un approccio sereno: non dipendiamo dai budget delle reti e per questo siamo liberi di organizzare una strategia d'investimento centrata sulle esigenze del cliente. Non guardiamo alle previsioni e per evitare brutte sorprese usiamo indicatori come i take profit (prese di profitto) o gli stop loss (limite massimo alle perdite). Ma una cosa diciamo con chiarezza ai nostri clienti: nessun metodo garantisce di comprare ai minimi e di realizzare ai massimi».
E che cosa avete consigliato in questi ultimi due anni? «Penso che il risparmio gestito sia la soluzione d'investimento migliore; i fondi sono prodotti semplici e trasparenti. Certo, non tutti: abbiamo elaborato uno studio che ci permette di selezionare quelli in grado di battere con costanza gli indici».
Su come si rassicura la clientela ne sa qualcosa anche Dino Cardone, che si porta dietro clienti da quasi quarant'anni. «È importante saper trasferire un senso di sicurezza al cliente – aggiunge – quando s'instaura una relazione. È fondamentale essere sereni e tranquilli quando si danno chiarimenti e spiegazioni. Oggi più di ieri serve un carattere forte, autorevole e soprattutto positivo. La gente non affida il suo denaro a una persona triste e demotivata. Ottimismo, onestà e serietà, ovviamente: sono la base per instaurare un rapporto di fiducia con la clientela e salvaguardare la propria credibilità sul mercato. Certe relazioni non s'interrompono così facilmente e dopo tanti anni i clienti diventano amici e si diventa intimi».
Non è un lavoro per giovani? Certo, l'esperienza rappresenta agli occhi del cliente un valore aggiunto e per Botteghi avere meno di trent'anni non è esattamente un vantaggio, quando in gioco ci sono i milioni di euro dei clienti che vogliono sapere come investire il proprio patrimonio privato. Anche per questo agli incontri è importante la presenza del suo diretto superiore (Franco Bulgarini, fondatore di Skema). «Ma non chiamatelo accompagnamento - precisa Botteghi - lo chiamano così a Mediolanum, dove ho lavorato per due anni». Perché ha lasciato quella struttura? «Il promotore finanziario a mio avviso è 80% commerciale e 20% consulenza. E l'ordine delle priorità vede al primo posto la rete, poi il promotore e infine il cliente. Io sin da studente avevo in mente un approccio diverso, molto più vicino a quello del commercialista, che aiuta la clientela a compiere le scelte più razionali in relazione alle sue esigenze. E questo secondo me il promotore finanziario ha difficoltà a farlo, condizionato com'è da altro. E la crisi finanziaria, questo, l'ha messo in luce». Cosa vi dite quando v'incontrate con gli ex colleghi della rete? «Il mio ex capo mi dice sempre che in ufficio da lui è pronto a riprendermi con lui e io gli rispondo sempre che preferisco questo tipo di professione».
Eppure, prima che nel 1991 nascesse l'albo dei promotori finanziari, questi operatori si chiamavano proprio consulenti finanziari. Cosa è cambiato rispetto ad allora? «Trent'anni fa collocavamo un unico prodotto (Fonditalia, fondo comune di diritto lussemburghese, collocato da Fideuram) semplice ma completamente sconosciuto al mercato. Non servivano competenze tecniche quanto le capacità relazionali del professionista, impegnato a fare percepire alla clientela la nuova opportunità di guadagno. La clientela aveva esigenze semplici: salvaguardare i propri risparmi e migliorare il proprio tenore di vita, costruito spesso con sacrificio. Si telefonava a casa alla gente, chiedendo un incontro, anche se contava molto anche essere presentati. Oggi prevale il canale diretto e la segnalazione da parte di "referall" e soprattutto prevale la parte consulenziale rispetto al collocamento puro e semplice. I clienti hanno bisogni più complessi: spesso si lavora in collaborazione con altri professionisti, come avvocati, notai, commercialisti».
Proprio come il nuovo consulente indipendente. Che punta però molto su una preparazione specifica. Botteghi ha due lauree, una in Economia aziendale, l'altra in Statistica, oltre a una specializzazione in Intermediari finanziari. Nel suo bagaglio professionale, un foglio excel per elaborare calcoli e verificare ipotesi applicate ai portafogli dei clienti. E sulla scrivania un libro di Warren Buffett. «Molti lo citano, ma pochi lo conoscono - dice Botteghi - leggo molto di suo e su di lui e cerco di imparare.»
C'è chi ha modelli e chi è un modello: «In questi mesi sto trasferendo il portafoglio ai miei figli, Rita e Giuseppe - dice Cardone -, anche se intendo continuare a seguire come andranno. A loro sto trasmettendo anche un valore importante, l'apertura al cambiamento: in tutti questi anni mi ha portato da una rete gerarchizzata come la prima Fideuram, poi a una rete che supportava l'espansione di una grande banca sul territorio (UniCredit); quindi ho sposato il progetto di una rete indipendente in cui i promotori sono anche azionisti (Azimut)».
Ma quanto si guadagna facendo questo lavoro? Claudio Botteghi è agli inizi: ma può già contare su livelli di retribuzione che i suoi coetanei difficilmente riescono a conseguire: «In media circa 2.500 euro al mese. Mi sento molto fortunato se mi paragono con quanto fanno alcuni giovani professionisti, come i commercialisti, che investono anni dell'inizio della loro carriera percependo compensi qualche volta inferiori». Un promotore finanziario invece incassa ogni anno come minimo l'1% rispetto al suo portafoglio, se colloca prodotti della casa. Guadagni che salgono per chi ha incarichi di gestione della rete. «Al top del mio percorso professionale avevo un portafoglio di 50 milioni di euro. Ma come diceva un mio vecchio capo a Fideuram, "io credo nella fortuna, ma trovo che più lavoro più ne ho". Insomma, l'impegno tenace e costante nel lavoro sono premianti».
ilsole24ore

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