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12 ago 2009

le professioni più ricercate



Cerchi un infermiere e trovi un comunicatore. Cerchi un addetto alla logistica e trovi un laureato in legge. Già, perché se tra gli effetti di questa crisi economica in Italia c'è stato il ritorno sul mercato del lavoro di molte persone, è mancato il riassorbimento del mismatch tra domanda e offerta. Gli introvabili, come li chiama l'ultimo rapporto Excelsior Unioncamere, nel 2009 saranno 107.270, ossia il 20,5% delle assunzioni che in totale raggiungeranno il numero di 523.620. È il segno che c'è un gap molto forte da colmare tra i fabbisogni di capitale umano di qualità e il sistema della formazione. Nell'anno in cui la cassa integrazione si è moltiplicata di mese in mese e si sono allungate le liste di mobilità e di disoccupazione, «questo gap è un freno a mano tirato per lo sviluppo del sistema italiano», osserva il presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello.




Non è perché l'economia di un paese è in un momento di difficoltà che allora i posti rimasti vuoti vanno a zero. Altrimenti in Italia non si cercherebbero 2.260 sviluppatori software, 1.560 farmacisti, 1.850 programmatori informatici, 1.580 fisioterapisti, 1.420 addetti alla logistica. Oppure, tra le figure con skills più basse, 5.420 ausiliari socio-assistenziali, 5.260 assistenti socio-sanitari, 4.230 cuochi. La realtà è che «nemmeno nelle crisi più acute si è creato un pieno equilibrio perché i tempi della mobilità sono lunghi, così come quelli della ricerca e selezione». Insomma i dati Excelsior non devono creare nessuna sorpresa per il sociologo del lavoro Carlo Dell'Aringa, a maggior ragione in un paese come l'Italia dove «i servizi per l'impiego, che altrove hanno l'effetto di ridurre al minimo il mancato incontro tra domanda e offerta, sono lacunosi».
Ma non solo. In Italia c'è un annoso problema che riguarda l'orientamento dei giovani. Nei dati Excelsior per il giuslavorista Michele Tiraboschi «emerge il problema del mancato raccordo tra percorso educativo-formativo e mercato del lavoro. Entrando in un college o in un'università americana il fulcro sono gli uffici di placement e di orientamento. In Italia no. Gli sportelli di placement sono strutture occasionali, senza personale specializzato e non sono certo un riferimento per i giovani che cercano lavoro». Per ridimensionare questo vizio storico serve «una cabina di regia agile tra il ministero del Welfare e dell'Istruzione che lanci un piano strategico per l'occupabilità, con particolare attenzione ai giovani. Le aziende italiane in questo momento di difficoltà grazie agli ammortizzatori non stanno licenziando, ma stanno contraendo le nuove assunzioni, per cui adesso l'emergenza sarà quella dei giovani». Proprio a loro Confindustria dedica un appuntamento annuale, l'Orientagiovani, che da diverse edizioni ha messo in luce la necessità di tecnici.

Negli ultimi anni le agenzie del lavoro hanno assistito «ad una progressiva sofisticazione delle richieste dei clienti – osserva l'amministratore delegato di Manpower Stefano Scabbio –. Le imprese operano in un mercato più globale e chiedono persone che sappiano farle essere competitive su una scala molto più ampia che in passato. E il fenomeno è destinato ad aumentare, come ha confermato una nostra recente inchiesta da cui è emerso che se nel 1996 le aziende chiedevano una qualifica molto alta soltanto per il 22% dei lavoratori, nel 2020 questa percentuale salirà al 31,5%». A trainare questo trend saranno soprattutto il terziario, la sanità, i servizi sociali. Scorrendo la top ten delle figure high skill più difficili da reperire al primo posto compare proprio l'infermiere, al quinto il fisioterapista, al nono il farmacista. Persino le badanti «hanno accresciuto la loro professionalità – continua Scabbio –. Le lavoratrici che in passato svolgevano questa attività senza un riconoscimento sociale del loro ruolo hanno fatto corsi di formazione specifici su temi che vanno dal pronto intervento alla psicologia, all'alimentazione».
Nell'acquisizione di competenze sempre più specifiche da parte dei lavoratori «le agenzie hanno avuto un ruolo importante perché oltre a cercare i candidati abbiamo fatto anche consulenza, aggiornamento, orientamento di carriera, abbiamo colmato lacune nella preparazione, aiutato riconversioni professionali», dice l'amministratore delegato di Adecco Federico Vione. Il gap tra domanda e offerta però resta e forse la sua causa va ricercata anche nel fatto che «certi lavori nessuno li vuole fare», aggiunge Vione.

Oppure per dirla con Marco Ceresa che è amministratore delegato di Randstad «molte persone hanno poca visione, guardano all'oggi e pensano al lavoro dei sogni in un mondo che è molto cambiato. Ci sono stati momenti in cui nelle nostre filiali entravano solo laureati in scienze della comunicazione. Benissimo, ma non si può essere in 100mila a fare i comunicatori».
La percentuale della difficoltà di reperimento per alcune professioni rasenta la soglia del 90%, come accade per gli installatori di allarmi di cui, secondo il rapporto Excelsior, in Italia è stato rilevato un fabbisogno di 1.060 unità: di questi sono di difficile reperimento ben l'86,7%. Per non parlare dei pavimentatori: dei 470 che servono, il 70,5% non si trova. Oppure dell'aiuto parrucchiere: se ne cercano 1.840, ma quasi un migliaio non si trova. Sarebbe troppo semplice spiegare questi numeri dicendo che nessuno vuole fare l'installatore di allarmi, il pavimentatore o il parrucchiere. La verità è un'altra per Carlo Dell'Aringa perché «le imprese non cercano solo persone con elevata specializzazione: le cercano con un'esperienza professionale e questa è la conseguenza di un sistema dove non ci si è preoccupati di creare un ponte tra scuola e lavoro».

ilsole24ore

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