Riporto questa ricerca di Stefania Romenti perchè esamina un lato della comunicazione di estrema attualità e pressochè sconosciuto; e inoltre sancisce come le risorse umane e il marketing siano accomunati nell'essere discipline giovani e molto in voga, tanto da spiegare quanto detto nel post sulle retribuzioni.
Da una recente ricerca svolta dal Chartered Institute of Public Relations emerge che tra i comunicatori inglesi sono diffuse ben otto definizioni di ROI della comunicazione
e altrettante modalità per calcolarlo. La maggior parte dei professionisti sostiene che il ROI deve essere espresso in termini economici perché solo mutuando il linguaggio e gli indicatori dal business language (pensiamo per esempio a bottom line, return, ccountability, results, turn-around) è possibile aumentare la credibilità delle RP agli occhi degli interlocutori aziendali. Secondo questa posizione il ROI si ottiene dividendo i benefici ottenuti da un’attività di comunicazione, per ogni risorsa economica investita nella medesima attività. E i benefici ottenuti possono essere espressi in tre diversi modi:a) la generazione di entrate economiche (p.e. % incremento nel valore delle azioni, %
incremento nelle vendite);b) la riduzione dei costi (p.e. la riduzione di costi amministrativi o di produzioneavvenuta a seguito di cambiamenti nei comportamenti dei dipendenti) e
c) i risparmi di costo dovuti alla riduzione dei rischi (p.e. grazie al miglioramento
delle relazioni con alcuni stakeholder vengono abbattuti i rischi di azioni legali contro l’organizzazione e quindi i costi connessi).E’ importante rilevare tuttavia che sono sempre più numerosi gli esperti di misurazione delle RP (del calibro di Tom Watson e di Jim Macnamara) che non condividono questa posizione. Essi sostengono al contrario che esprimere il ROI delle RP in termini economico-finanziari è inadeguato per almeno due ragioni. Primo, perchè la maggior parte delle attività di RP non sono direttamente collegabili a risultati economici, pur contribuendovi senza dubbio nel lungo periodo. Secondo, perché le attività di RP sono sempre svolte in modo integrato con altre forme di comunicazione, così che risulta difficile isolare con precisione il ritorno economico di ciascuna di esse. Ma allora, in cosa consiste il ROI della comunicazione secondo questi studiosi?
Esso consiste nel grado di raggiungimentodegli obiettivi di comunicazione predefiniti. Secondo questa definizione, il ROI di una campagna di comunicazione può essere espresso per esempio nell’aumento percentuale di conoscenza dei messaggi chiave da parte dei destinatari. Adottare questa posizione attribuisce alla fase di definizione degli obiettivi dell’attività di comunicazione un ruolo cruciale, a differenza di quanto sia avvenuto e continui ad accadere, nell’attività quotidiana dei professionisti. Ma se le RP non parlano il linguaggio del business, riprendendo le perplessità della maggior parte dei professionisti, non corrono il rischio di essere sottovalutate? Secondo quegli
esperti che definisconoil ROI in termini di obiettivi di comunicazione avviene esattamente il contrario.
E’infatti proprio grazie alla ricerca e alla definizione di un linguaggio specifico, e quindidi indicatori e di tecniche di misurazione ad hoc, che le RP potrebbero assumere il ruolo di disciplina manageriale a tutto tondo, come è avvenuto per le discipline di più recente sviluppo come il marketing e la gestione delle risorse umane. Il dibattito è dunque aperto e le diverse soluzioni proposte sembrano tutte molto interessanti!
Nessun commento:
Posta un commento