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3 feb 2017

Running sempre più donna, tutti i numeri di un boom femminile

I dati sulle iscrizioni alle gare e sull'acquisto di scarpe da corsa fotografano la crescita esponenziale delle donne nel podismo amatoriale italiano. Un fenomeno che negli Stati Uniti ha già registrato i primi sorpassi statistici rispetto agli uomini


ROMA - Le ho viste per anni. Comparivano con gli ultimi freddi di marzo, quando a Villa Pamphili spuntano le prime margherite. Spesso pesantemente infagottate per sudare di più, di solito fra i 30 e i 50 anni, quasi sempre sole e incupite, si infittivano man mano che si accorciava il tempo che le separava dalla prova costume. Correre al femminile, allora, era soprattutto una strategia estetica (e naturalmente parliamo del running amatoriale, certo non dell'atletica agonistica). Quando si scavallava il momento della temuta passerella sotto l'ombrellone, sparivano d'incanto, ibernandosi fino alla primavera successiva.

Non più. Sedetevi su una panchina lungo qualche percorso classico di allenamento e le vedrete passare a plotoni, molte semplicemente trotterellando per diporto, parecchie impegnate in fartlek o ripetute. Oppure, date un'occhiata alla vetrina di un negozio di sport e vedrete che le sofisticate multinazionali del settore non dedicherebbero tante ricerca hi-tech e tanto design ad un top o a tute ben disegnate per un corpo femminile per un passatempo occasionale ed effimero. "Sono tante, è un fenomeno in crescita" nota Gianni Giacinti, che presiede una società romana, Rcf-Romasud. "Una parte importante l'hanno avuta le grandi kermesse. A Race for the Cure, per dire, il 50 per cento dei partecipanti è donna". Secondo Giacinti, la spinta iniziale è ancora quella della prova costume: dimagrire. "O anche poter mangiare senza farsi troppi problemi, ma anche senza ingrassare". Ma, sempre più spesso, la corsa diventa presto un'altra cosa. Correre in rosa è, oggi, un'attività sportiva a tutto tondo, in fase di boom, contorno agonistico compreso. L'ultima domenica di gennaio, al tradizionale appuntamento romano della Corsa di Miguel, sono arrivati in fondo ai 10 chilometri della corsa competitiva 3.412 uomini, ma anche 1.003 donne, quasi una su tre. Rispetto a cinque anni fa, gli uomini sono lievemente diminuiti, le donne cresciute di oltre il 10 per cento.

Contare chi pratica la corsa senza impegno non è facile. Ma l'unica cosa che non si può fare (o quasi) è correre senza scarpe. Nel 2008, la Saucony, una marca che produce scarpe soprattutto tecniche, realizzava  il 71 per cento del suo fatturato con le scarpe per uomini e il 25 per cento con quelle per donne. Oggi, le scarpe femminili sono salite al 35 per cento delle vendite. Nel running, tuttavia, anche le gare sono un indicatore importante. Perché, quando la corsa diventa una cosa più seria, la gara è uno sbocco inevitabile. Si può avere, dunque, un'idea della diffusione del running, guardando ai dati delle iscrizioni alla Fidal, passaggio necessario per arrivare a mettersi un pettorale. Prendiamo solo gli ultratrentacinquenni, partendo dal presupposto che, oltre quell'età, difficilmente troviamo iscritti o iscritte dediti al lancio del disco o alla 4x100. In realtà, perdiamo probabilmente qualche numero: a 25-30 anni, una ragazza che vuol fare sport è facile che cominci a correre, mentre i suoi coetanei maschi è più probabile siano su un campo di calcetto, se non davanti alla playstation. "E' vero - dice Giacinti - che le ragazze che corrono sono mediamente più giovani degli uomini. Forse perché avvertono prima il problema di sentirsi in forma".

A naso, si potrebbero spiegare anche così i dati della categoria senior, cioè iscritti e iscritte fra i 23 e i 35 anni. Stagnanti per tutti i primi dieci anni del secolo, dal 2010 hanno avuto un balzo: gli uomini sono aumentati del 40 per 100, le ragazze, però, sono raddoppiate. Ma torniamo agli ultratrentacinquenni. Nel 2000, dunque, il 15 per cento degli iscritti alla Fidal di età superiore ai 35 anni, era donna. Nel 2014, abbiamo superato il 23 per cento, un balzo, in proporzione, della metà. L'anno scorso, se si tiene conto dell'introduzione della Runcard, che consente di svolgere attività agonistica senza passare attraverso una società, la quota di donne abbastanza seriamente impegnate nella corsa da pensare alle gare è stata il 22 per cento, più di un quinto degli iscritti. La conferma viene dalla gara delle gare, qualcosa che si affronta solo con un patrimonio di dedizione e mesi di allenamento intenso: la maratona. Nel 2007, le italiane che avevano concluso una maratona erano 3.664. Dieci anni dopo sono state quasi il doppio: 6.394. Rispetto al totale dei maratoneti sono passate dall'11 a oltre il 16 per cento.

E, nel futuro, è possibile che ci sia il sorpasso. In America, c'è già stato. Anche senza considerare chi, anche oltreoceano, ha in mente soprattutto la prova costume, chi si limita alle pedane dei centri fitness o fa soltanto su e giù per i giardini pubblici con un'amica, la corsa negli Stati Uniti è, ormai, uno sport femminile. I maligni dicono che è perché, correndo, al contrario che nel tennis o nel nuoto, si può chiacchierare. Ma, anche qui, il termometro sono le gare. L'anno scorso il 57 per cento degli atleti che ha concluso una gara agonistica, dai 5 chilometri in su, era donna. Non è una novità: il sorpasso sugli uomini, dietro un pettorale, è avvenuto nel 2010. Le gare per sole donne, comuni fino a qualche anno fa, non ci sono più. "Ormai le donne sono la maggioranza in quasi tutte le corse" ha detto al Wall Street Journal Mary Wittemberg, che per anni ha gestito la maratona
di New York.
Proprio nell'impegno più duro, ancora non ci siamo. Ma anche nella grande classica, siamo sempre più vicini. I partecipanti alle mezze maratone d'oltreoceano sono già per il 61 per cento donne. Per la maratona siamo al 44 per cento.
 

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