«L'hanno uccisa davanti al cancello». A pronunciare questa frase, terribile, è Mohamed Fikri, il muratore marocchino che sabato 4 dicembre era stato arrestato per l'omicidio di Yara Gambirasio. Fikri, che dopo pochi giorni è stato scarcerato con tante scuse, viene intercettato durante una conversazione telefonica con la sua fidanzata. La telefonata viene registrata dai carabinieri, ma stranamente non viene inserita nel fascicolo d'indagine a suo carico. Le parole non gli vengono neppure contestate quando viene interrogato dal sostituto procuratore di Bergamo,Letizia Ruggeri, lunedì 6 dicembre. Ma anche in seguito, a quanto risulta a Panorama, la pm non gli avrebbe mai chiesto spiegazioni della frase. Certo, Fikri era finito in carcere per un'altra telefonata e le sue parole, in quel caso, erano state tradotte erroneamente dall'interprete della procura. Resta il fatto, comunque, che questa nuova telefonata del muratore marocchino è un giallo nel giallo della morte dell'adolescente di Brembate di Sopra.
Facciamo due passi indietro. Yara svanisce nel nulla la sera di venerdì 26 novembre. Il lunedì successivo arrivano nel Bergamasco tre cani specializzati nel seguire le tracce di persone scomparse. Tutti e tre i segugi partono dal centro sportivo dove la ragazza è stata vista per l'ultima volta e si dirigono verso il cantiere di un grosso centro commerciale in costruzione a Mapello, a meno di 2 chilometri di distanza. Lo stesso punto dove si perde il segnale del telefono della ragazzina.
Il giorno dopo i carabinieri interrogano e mettono sotto controllo i telefoni dei circa 250 operai che risultavano al lavoro quella sera. Tra questi c'è il ventitreenne Fikri. Il quale viene fermato la sera del 4 dicembre, mentre è in viaggio verso il Marocco a bordo di un traghetto, e viene riportato a Bergamo con l'accusa di sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere. A suo carico c'è una telefonata in cui avrebbe detto: «Allah mi perdoni, non l'ho uccisa io». Il pm Ruggeri lo interroga nel pomeriggio del 6 dicembre, il suo alibi regge e intanto arriva una nuova, più accurata traduzione fatta dagli esperti della procura. Il nuovo testo smentisce quello che ha condotto al fermo. L'errore è grave. Perché Fikri in realtà ha esclamato: «Che Allah mi protegga».
Ma ecco il nuovo giallo. Come mai nessuno contesta all'indagato la seconda frase, quella dove per l'appunto dice: «L'hanno uccisa davanti al cancello»? Secondo quanto risulta a Panorama, queste parole sono state pronunciate da Fikri mentre dialoga con la fidanzata, e questa telefonata avviene il giorno prima di quella dov'è contenuta l'esclamazione su Allah. Probabilmente perché per un difetto o per un ritardo di traduzione, di trascrizione, o di trasmissione fra gli organi inquirenti, la nuova intercettazione viene messa a disposizione della procura soltanto qualche giorno dopo l'interrogatorio del 6 dicembre. In ogni caso, la frase sul cancello viene confermata da almeno tre traduttori arabi che lavorano per le forze dell'ordine.
Il 7 dicembre, intanto, Fikri viene rilasciato senza che nessuno gli chieda conto di che cosa abbia realmente visto la sera della scomparsa di Yara. Forse perché la procura, dopo l'errore sulla prima traduzione, non ha più dubbi sull'innocenza del marocchino. La confusione aumenta qualche settimana dopo: ritrovato del cadavere di Yara, il 26 febbraio, a Fikri (che pure resta formalmente l'unico indagato del caso, ma ha piena libertà di movimento) non viene neppure notificato l'avviso a partecipare, attraverso l'avvocato e un consulente, all'autopsia sul corpo della vittima. È vero che la sua posizione nel frattempo è stata stralciata e si va verso l'archiviazione. Ma che cosa accadrebbe se mai un domani il marocchino dovesse tornare in qualche modo nell'indagine?
Fra gli investigatori, oggi, c'è chi manifesta perplessità sul trattamento riservato a Fikri. Nessuno di loro, è vero, ha mai pensato al marocchino come a un potenziale omicida. Si sperava però che potesse aver visto qualcosa di utile alle indagini, e obiettivamente la seconda telefonata intercettata dà grande forza a questa ipotesi. Però ormai l'uomo ha lasciato l'Italia. Verrà interrogato nuovamente? Chissà se sarà possibile.
Intanto le indagini hanno qualche punto fermo. Il 15 marzo il procuratore aggiunto di Bergamo, Massimo Meroni, ha dichiarato che il corpo della ragazza, ritrovato nel campo di Chignolo d'Isola, non presentava segni di violenza sessuale, anche se un tentativo d'abuso non può essere escluso. Il suo reggiseno era slacciato. C'era un taglietto sugli slip.
Il magistrato ha poi escluso la pista satanica. Ha confermato invece le due tracce di dna, una maschile e l'altra femminile, isolate su un guanto analizzato dalla scientifica. Sono tracce di sconosciuti: non appartengono né ai suoi familiari né alle persone il cui dna è stato fin qui schedato. Il pm Meroni ha voluto sottolineare che non è stato raccolto dna dai frequentatori della palestra di Yara. A Panorama risulta il contrario: proprio in queste ore si sta svolgendo una fitta attività investigativa, condotta sia dai carabinieri sia dalla polizia, che al centro ha proprio la palestra di Brembate di Sopra. Tutti i genitori delle compagne di squadra di Yara, e soprattutto i padri, sono stati convocati dalle forze dell'ordine. Ad alcuni è stato preso un campione di saliva.
Nella maggior parte dei casi si tratta di persone già state sentite dopo la scomparsa della vittima. Ma sono stati tutti riconvocati e interrogati. È toccato, per esempio, al custode dell'impianto, Walter Brembilla, ascoltato per alcune ore, come a tutti quelli che hanno a che fare con la palestra. Perfino il compagno dell'istruttrice di ginnastica di Yara, Daniela Rossi, che abita lontano da Brembate, ha ricevuto una visita degli inquirenti. Uno dei padri delle amiche più strette di Yara è stato interrogato perché proprietario di un furgone bianco, un veicolo simile a quello che si è detto potrebbe essere stato usato dall'omicida. Ma la sua posizione è stata immediatamente chiarita.
Infine, secondo alcune indiscrezioni raccolte da Panorama, è entrato nel mirino degli inquirenti un altro personaggio. Si tratta di un uomo sui 40 anni che si trovava in prossimità della palestra la sera in cui Yara è scomparsa. Costui non appartiene alla famiglia Gambirasio, ma non sarebbe estraneo al circoscritto mondo di Yara. E tra i due, rivela un investigatore, c'è un punto di contatto molto interessante.
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