Banca di Roma, Comit, Bnl e Monte dei Paschi: ecco gli istituti italiani che hanno sostenuto più attivamente l'ascesa economica di Calisto Tanzi. Per essere fuori dal giro della finanza da molti anni, Florio Fiorini conserva una memoria di ferro, e nell'intervista che segue rievoca i suoi rapporti con Calisto Tanzi che intrattenne fin dai tempi in cui ricopriva la carica di direttore finanziario dell'Eni. Travolto dal crack della Sasea all'inizio degli anni '90, una delle più gravi bancarotte della finanza europea, Fiorini ha poi scontato quasi quattro anni di carcere in Svizzera fino al '96. E successivamente è stato processato e condannato in primo grado a 8 anni e sette mesi per la bancarotta della consociata italiana della Sasea. Di recente ha presentato proposta di patteggiamento alla Corte d'Appello di Milano, che ha già ricevuto l'assenso della Procura generale e del pubblico ministero Luigi Orsi.
Che cosa la meraviglia di più della vicenda Parmalat?
Prima di firmare il bilancio di una società che ha un deposito liquido di 4 miliardi, il revisore chiede conferma diretta alla banca dell'esistenza di quel denaro. Oggi si possono chiedere conferme per e-mail che non possono essere falsificate. Ebbene, com'è pensabile che una società di revisione abbia creduto che Parmalat avesse un deposito presso una sola banca, quando lavorava con moltissime banche? Una banca la prima cosa che ti chiede di versargli è la liquidità. Che è ciò su cui guadagna.
Lei crede nella complicità degli istituti di credito?
Ci andrei cauto. Il banchiere interviene al momento della decisione del finanziamento. Ma se il bilancio della società beneficiaria è falso, non è certo colpa della banca. È impossibile che tutte le banche siano state complici di Tanzi. Probabilmente questi di Bank of America non sono del tutto puliti. Se falsifico il documento di qualcuno debbo avere un'arma di ricatto. Altrimenti sarei un matto.
In Sasea lei s'è imbattuto in qualcuna di queste banche?
Lavoravamo con tutte. Ma il nostro rapporto era fondamentalmente diverso. Io facevo il lavandaio e lo dichiaravo apertamente. Era un mestiere pericoloso: prendevo le aziende vecchie e malate e cercavo di rimetterle in sesto per guadagnarci. Rendevamo servizi alle banche, alle società assicurative e anche a qualche azienda industriale. Ma le banche prima di darci i soldi ci pensavano su quattro volte.
Anche Parmalat potrebbe aver reso favori alle banche.
Questo vale, forse, per le attività rilevate da Cragnotti e Ciarrapico, entrambi inguaiati con Banca di Roma. Non vedo che piaceri di questo tipo possa aver fatto Tanzi a Bank of America e ad altre banche italiane o estere.
Quando nasce il suo rapporto con Tanzi? È vero che tentò di coinvolgerlo in un piano di salvataggio dell'Ambrosiano di Calvi?
Tanzi non c'entra in questa storia. L'Eni era un creditore dell'Ambrosiano, e io avevo proposto nell'82 un piano di salvataggio del Banco convertendo in capitale i crediti vantati dall'Eni. Nel piano sarebbe dovuto entrare anche Karl Kahane, un finanziere ebreo austriaco. Ma la mia proposta non venne nemmeno esaminata. Anzi, a causa di quel piano il commissario dell'Eni Enrico Gandolfi mi invitò a rassegnare le dimissioni dal gruppo. Kahane e Tanzi ebbero tuttavia un contatto. Andato via dall'Eni, infatti, cominciai a fare il consulente per vari clienti tra i quali la Montana, una società controllata dalla famiglia Kahane, che produceva acido citrico, un prodotto al quale Tanzi era interessato perché si usa nei succhi di frutta. C'erano due attività in Italia che potevano essere rilevate: una della Montesi e un impianto della Liquigas. Così costituii la Sidit, la Società italo-danubiana d'investimenti e trading, in cui la Sata, la finanziaria della famiglia Tanzi, entrò col 10% e un altro 20% fu rilevato da un socio della Liquigas. Il 70% faceva capo alla Montana. Nessuno dei due affari andò tuttavia in porto. La Sidit fu liquidata, e Giovanni Tanzi, che si occupava della Sata, ebbe restituiti i 250mila euro versati.
Poi seguì l'operazione Odeon Tv.
In quella fase ero già alla guida della Sasea, che avevo rilevato dal Credito Svizzero e dal Vaticano. Nell'89 con Giancarlo Parretti decidemmo di entrare nel settore dei media, che è stata la nostra rovina. Così comperammo dalla Sata la Odeon Tv, che i Tanzi avevano acquistato dalla famiglia Longarini. Per Odeon pagammo una cifra enorme, oltre 150 miliardi di lire, parte in contanti, parte in immobili e parte con azioni e obbligazioni Sasea per un controvalore di 20 milioni di euro. La Sata si trovò pertanto socia col 5% della Sasea, nel cui consiglio d'amministrazione entrò Ettore Giugovaz in rappresentanza di Tanzi. La Sata fece probabilmente in tempo a vendere le obbligazioni prima che Odeon fallisse, mentre sulle azioni, che erano sindacate, i Tanzi registrarono una minusvalenza di 15 milioni di euro. Oltre alla perdita del valore delle azioni, la Sata ebbe perdite per alcune garanzie prestate a fornitori e finanziatori di Odeon Tv, per un ammontare di 70-80 miliardi di lire. D'altra parte la Sasea fu costretta a mandare prima in amministrazione controllata e poi in fallimento Odeon, soprattutto per il mancato rinnovo da parte della Sipra di un contratto di minimo garantito da 70 miliardi di lire l'anno di cui Tanzi, invece, aveva beneficiato. Gianni Pasquarelli, ex direttore generale della Rai, che allora presiedeva la Sipra, si rifiutò di rinnovarcelo. Debbo tra l'altro segnalare che il Tribunale di Milano ritenne eccessivo il prezzo da noi pagato per Odeon, tant'è vero che Pietro Mistrangelo, il dirigente di Tanzi che seguiva il settore dei media, e lo stesso Calisto Tanzi furono accusati di concorso nella bancarotta della Sasea. Mistrangelo ha patteggiato. Non so cosa abbia fatto Tanzi. Il processo a suo carico è stato stralciato dal filone principale.
Chi è Ettore Giugovaz? È vero che ha buoni rapporti con la Libia?
È un ingegnere, un commerciale molto capace nell'acquisire contratti, che nasce all'interno della Bonatti, una società di costruzioni che aveva rapporti con Libia, Algeria, Ecuador, ovunque vi fossero commesse da acquisire. D'altro canto la Sasea aveva rapporti privilegiati con la Libia, in quanto controllava il 20% della Tamoil; rapporti che interessavano la Bonatti. Giugovaz entrò dunque nel consiglio Sasea nel '90 e vi rimase fino al dicembre '91 quando il controllo della società passò al Credit Lyonnais.
Non era per caso un tramite col mondo politico?
No, perché la Bonatti lavora soprattutto all'estero.
Lei ha mai conosciuto il finanziere Giuseppe Gennari? Con la Finanziaria Centro Nord, acquistata da Gennari, Tanzi portò la Parmalat in Borsa. Un'operazione molto chiacchierata.
Quando lasciai l'Eni lavorai tra l'altro per il marchese Alberico Lalatta di Milano, che possedeva la Finanziaria Centro Nord, una società quotata che non combinava quasi niente. Così, su mia indicazione, Lalatta la vendette a Gennari, un signore di Firenze che allora faceva piccoli prestiti. Qualche tempo dopo Gennari la rivendette a Tanzi, che se ne servì per fondervi la Parmalat, la quale si ritrovò quotata in Borsa. Siccome la Consob non concedeva autorizzazioni alla quotazione, per entrare a Piazza Affari si ricorreva a questi espedienti. Gennari era protetto dal Monte dei Paschi, dall'allora provveditore Carlo Zini, che credo abbia sostenuto Tanzi in questa operazione.
Come mai Banca di Roma ha avuto un ruolo importante nella crescita di Tanzi?
Io vissi rapporti intensi con Tanzi quando decisi di mandare in fallimento Odeon Tv, in quanto perdeva 5 miliardi al mese. Tanzi mi disse che avrebbe potuto ricevere un aiuto dalle banche indirizzandomi alla Bnl, alla Comit, dove c'era Luigi Fausti, e alla Banca di Roma, a parlare con Cesare Geronzi. Penso fossero queste le sue banche di riferimento.
Vede analogie tra il crack Parmalat e quello dell'Ambrosiano?
L'Ambrosiano fallì perché Calvi aveva comperato il controllo della banca attraverso fiduciarie panamensi che erano state finanziate dallo stesso Ambrosiano. Questo determinò un buco che Calvi credeva di poter rimborsare, ma che invece andò ingigantendosi per la svalutazione del dollaro e l'esplosione dei tassi d'interesse.
Dietro Calvi e l'Ambrosiano c'erano anche gli affari della P2. Non ci potrebbero essere forze esterne anche nel caso Parmalat?
Non ci credo. Per me, Tanzi non era Calvi. E il ragionier Tonna non era né Licio Gelli né Umberto Ortolani.
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