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10 dic 2010

Yara, ricerche vicino a casa sua

Due donne guidano agenti in cascinali

Le ricerche di Yara Gambirasio si sono spostate su una via molto vicina a quella della casa della ragazza. Si chiama via Tresolzio, quella che fa da confine tra Brembate Sopra e le campagne circostanti. Lì nelle ultime orela polizia ha portato due donne, che hanno guidato gli agenti in alcuni cascinali dei dintorni. Nulla però ancora si sa sui particolari di queste ultime ricerche. Parla Flikri, accusato e liberato: "L'Italia mi restituisca la dignità".

Yara Gambirasio

Sono state tre le auto della polizia che si sono fermate a lungo nei pressi di via Tresolzio, secondo quanto racconta il "Corriere della Sera". Sembra che le donne accpompagnate sul posto abbiano segnalato di aver visto, da quelle parti, dei movimenti strani proprio nei giorni in cui la ragazza è sparita.

Tironi sarà risentito in queste ore
Intanto, in mattinata gli inquirenti torneranno a interrogare Enrico Tironi, il vicino di casa che dice di avere visto la ragazza parlare con due uomini poco prima della scomparsa. Si era detto che la testimonianza era stata ritenuta inattendibile e il giovane era stato denunciato, ma non era vero. Anche perché il 19enne aveva confermato al pm le dichiarazioni che aveva in un primo momento ritrattato, e ora si sta cercando di capire se quella smentita iniziale è stata fatta perché si era inventato tutto o se esistono altri motivi: potrebbe essere stato costretto a ritrattare in seguito a vere e proprie minacce.

Si segue la pista dei conoscenti
Gli investigatori comunque sono convinti che la chiave della scomparsa sia in qualcuno che conosceva bene Yara. E stanno chiedendo a tutti coloro che frequentavano la palestra dove si allenava la ragazza di fornire ogni foto o ripresa video disponibile di allenamenti e gare, in ricerca di qualche volto che possa destare sospetti. In questura è stato costituito un pool che si dedicherà esclusivamente a questo caso, e del quale fanno parte anche gli agenti del Servizio centrale operativo e delle Squadre mobili di Milano, Novara e Brescia. Il procuratore aggiunto di Bergamo Massimo Meroni, che ha guidato un vertice con polizia e carabinieri, incontra questa mattina i giornalisti per fare il punto della situazione. 

Flikri racconta le sue prigioni e chiede: "L'Italia mi restituisca la dignità"
Intanto Mohammed Flikri, il 23enne marocchino finito in carcere con l'accusa di omicidio e uscito il 7 dicembre, concede per la prima volta un'intervista, pubblicata sul "Corriere". Vive nascosto, non vuole far sapere dove si trova, dice che un fatto del genere "ti cambia la vita". "Se non ho parlato sino ad ora - racconta - l'ho fatto perché ero molto provato da questa brutta esperienza. Non c'era nessun altro motivo in questa mia decisione". E ricorda che il 4 disembre "mi ero imbarcato sul traghetto che mi avrebbe finalmente riportato in Marocco. A casa. Come avevo concordato con il mio datore di lavoro stavo ritornando dalla mia famiglia per un periodo di riposo". 

Perché il cambio di date? Spiega che, dal momento che il suo lavoro con il maltempo si ferma, aveva deciso di chiedere l'aspettativa e di andarsene in anticipo. Voleva incontrare i suoi parenti, ritrovare gli amici d'infanzia. Aveva voglia di raccontare a tutti la sua esperienza in Italia. Dove, assicura, si è integrato bene. "All'improvviso si sono avvicinati due ufficiali della nave e mi hanno chiesto i documenti - dice -. Glieli ho dati senza batter ciglio. Mi hanno chiesto di seguirli nella cabina di comando. Ho trovato dei militari italiani che mi hanno fatto delle domande. Non avevo mai sentito neanche il nome di Yara". 

Il giovane ha seguito gli uomini, che lo hanno portato in cella a Bergamo. "E da quel momento è iniziato il mio incubo - aggiunge -. Mi è crollato il mondo addosso, Sono passato dalla gioia di pensare a riabbracciare i miei genitori alla paura delle ore trascorse da solo in cella". 

Dice di aver avuto paura di non essere creduto, di aver pensato al peggio, e di aver sperato che la notizia non fosse arrivata ai suoi genitori. E di averli convinti a liberarlo "con la forza della verità". Il momento della svolta è stato quello in cui hanno riascoltato la telefonata intercettata: qui si sono resi conto di aver capitato male le parole. E poi, la conclusione: non serba rancore verso nessuno. "La mia religione mi impone di chiedere perdono anche per chi ha sbagliato. Io ho già perdonato". Ed esprime un desiderio: "Vorrei che l'Italia mi restituisse la dignità".

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