Nel tessuto sociale italiano, osserva il Censis, si sono appiattiti i riferimenti “alti e nobili della nostra vita sociale e sociopolitica” quali “l’eredità risorgimentale, il laico primato dello Stato, la cultura del riformismo, la stessa fede in uno sviluppo continuato e progressivo”. C’è stata una “progressiva delusione per le istanze del primato del mercato e della liberalizzazione/privatizzazione dell’economia” e il declino “dell’opzione per una verticalizzazione (e personalizzazione) del potere ai fini di un salutare decisionismo di chi governa”. Inoltre, “la modernità, la post-modernità, la globalizzazione, la planetarizzazione hanno creato un mondo” nel quale tempo e spazio si sono azzerati. “Tutto si appiattisce, vince solo una dimensione orizzontale, spesso vuota”, evidenzia il “Rapporto”. In una società così “piatta” hanno finito per franare “anche tutti i soggetti presenti in essa, e in particolare la loro capacità e il loro vigore soggettivi”. La conseguenza è che una società come quella italiana, “che aveva costruito una sua cinquantennale storia sulla vitalità, sulla grinta, sul vigore dei soggetti, si ritrova a dover fare i conti proprio con il declino della soggettività”.
Una delle conseguenze di questo appiattimento, registra il Censis, è la crescita di una società sempre più “indistinta”. Ad esempio “nella dialettica politica, sempre meno chiara e bipolare; nella comunicazione giornalistica, fatta da paginate eguali e parallele, salvo mirate spregiudicate operazioni di sevizio; nella comunicazione televisiva, coatta all’eccesso di stimolazioni ed eventi destinati a non permanere nella psiche collettiva; nelle nuove forme di tecnologia comunicazionale”, nel mercato del lavoro e nella stessa composizione etnica. Nella società italiana “tutto sembra aleatorio ed oscillante, manca un “dispositivo di fondo (centrale o periferico, morale o giuridico) che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori”. Alla fine predomina “una deriva cinico-pragmatica in cui disciplina e autorità perdono giorno per giorno non solo l’espressione fenomenica, ma anche il significato simbolico, quello che più coerentemente è connesso alla psicologia individuale e collettiva”. Non deve destare meraviglia quindi, rileva il “Rapporto” se “si afferma in Italia una diffusa ed inquietante sregolazione pulsionale”. La cronaca quotidiana del Paese segnala tanti comportamenti “incardinati in un egoismo autoreferenziale e narcisistico”. Questa regolazione pulsionale è rintracciabile “negli episodi di violenza familiare; nel bullismo gratuito e talvolta occasionale in strade e locali pubblici; nel gusto più apatico che crudele di compiere delitti comuni; nella tendenza ad altrettanto apatici e facilitati godimenti sessuali; nella ricerca di un eccesso di stimolazione esterna che supplisca al vuoto interiore del soggetto; nel ricambio febbrile degli oggetti da acquisire e godere; nella ricerca spesso demenziale di esperienze che sfidano la morte”. Osserva il Censis: “Siamo una società pericolosamente segnata dal vuoto, visto che ad un ciclo storico pieno di interessi e di conflitti sociali, si va sostituendo un ciclo segnato dall’annullamento e dalla nirvanizzazione degli interessi e dei conflitti”. Il vuoto finisce per generare negli individui una crescente insicurezza personale: un fenomeno questo, si legge nel “Rapporto”, “non facilmente accettabile in una società che per generazioni ha perseguito la sicurezza come valore fondante e ha lavorato per garantirsi lavoro stabile, casa di proprietà, consistente volume di risparmio. È l’insicurezza il vero virus che opera nella realtà sociale di questi anni”.
Dal momento che questa insicurezza ha risvolti di irrazionalità, “bisogna avere il coraggio di scendere a verificare se e come funziona l’inconscio individuale”, propone il Censis che spiega: “E’ infatti nell’inconscio che si confrontano e si articolano i due grandi fattori della vita: la legge e il desiderio”. Ma il desiderio, con il passare dei giorni, sta perdendo forza a causa di una realtà socioeconomica “che da un lato ha appagato la maggior parte delle psicologie individuali attraverso una lunga cavalcata di soddisfazione dei desideri covati per decenni se non per secoli (la casa e il suo arredo, la mobilità territoriale con auto e aereo, la frequenza della formazione e il titolo di studio, la vacanza e il tempo libero e dall’altro è basata sul primato dell’offerta che garantisce il godimento di oggetti e di relazioni mai desiderati, o almeno non abbastanza desiderati”. Oggi all’inconscio, sottolinea il “Rapporto”, “manca la materia prima su cui lavorare, cioè il desiderio”. E anche l’altro grande fattore vitale, la legge, non se la passa tanto bene. “Il trionfo dell’orizzontalità e il processo di desublimazione rendono labili i riferimenti individuali alla potenza verticale e irrevocabile della legge, del padre, del dettato religioso, della stessa coscienza”, scrive il Censis che aggiunge: “ Si vive senza norma, quasi senza individuabili confini della normalità, per cui tutto nella mente dei singoli è aleatorio vagabondaggio, non capace di riferirsi ad un solido basamento”.
In Italia, osserva il “Rapporto”, mancano “quelle sedi di auctoritas che potrebbero o dovrebbero ridare forza alla legge, vista l’inermità istituzionale in cui viviamo anche in realtà a forte componente carismatica (ne è l’esempio più evidente la Chiesa)”. Di conseguenza, “più utile appare il richiamo ad un rilancio del desiderio, individuale e collettivo”. Da qui l’invito del Censis a “tornare a desiderare” che rappresenta “un ritornante raccogliersi sulla dimensione più intima dei singoli e delle comunità” ed è “la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”. Solamente il desiderio, si legge nel “Rapporto” “non ci appiattisce al deserto tutto orizzontale su cui siamo via via franati”, “fornisce ‘telos’ progressivo (non conservativo e distruttivo) alle pulsioni” e “può darci lo slancio per vincere il nichilismo dell’indifferenza generalizzata”. Tornare a desiderare, quindi, “senza aver paura dei conflitti individuali, collettivi e istituzionali che un rinnovato vigore del desiderio può comportare: meglio il conflitto, oggi, che l’appiattimento”.
Davanti ai duri problemi attuali e all’urgenza di adeguate politiche per rilanciare lo sviluppo, cala la fiducia nelle lunghe derive su cui evolve spontaneamente la nostra società. E’ improbabile, rileva il Censis, che si possa far conto sulle responsabilità della classe dirigente, sulle leadership partitiche o su un rinnovato impegno degli apparati pubblici. Del resto “la tematica rigore-ripresa è ferma alle parole”, è flebile “tutta la riflessione sullo sviluppo europeo” e i tanti richiami a temi quali la scuola, l’occupazione, le infrastrutture, la legalità, il Mezzogiorno, “rappresentano un insieme di enunciati seriali” che “non supportano alcuna speranza di nuovi impulsi”. Attualmente tre sono i processi in cui è possibile riscontrare germi di desiderio: la crescita di comportamenti “apolidi” legati al primato della competitività internazionale (gli imprenditori e i giovani che lavorano e studiano all’estero); i nuovi reticoli di rappresentanza nel mondo delle imprese e il lento formarsi di un tessuto federalista; la propensione a fare comunità in luoghi a misura d’uomo (borghi, paesi o piccole città). “La complessità italiana è essenzialmente complessità culturale. La crisi che stiamo attraversando ha bisogno quindi principalmente di uno scavo e di messaggi che facciano autocoscienza di massa”, sottolinea il Censis che in conclusione ribadisce: “Occorre, in parole già dette, ‘tornare a desiderare’; occorre perciò sviluppare una mente immaginale, capace di innovare pensieri e richieste. E forse quel che dobbiamo desiderare è questo ritrovare una mente in opera, un riarmo mentale più che morale”.
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