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3 dic 2010

La giornata più lunga del re dei mediatori



Il sottosegretario alla Presidenza del Cinsiglio Gianni Letta



Il Cavaliere in declino, ma Letta
con Thorne tentava di smorzare


A prima vista, si fatica un po' a riconoscere Gianni Letta, nelle dichiarazioni e nel clima descritti dagli ultimi documenti Usa diffusi da Wikileaks. Una conversazione franca, spiccia, senza giri di parole e appunto all'americana, in cui manca solo di sentire risate e pacche sulle spalle. A dire la verità è difficile immaginare nella stessa scena anche l'ambasciatore David Thorne, un osservatore attento, gran conoscitore dell'Italia, tra i migliori mai inviati da Oltreoceano.

Ma forse, per capire meglio il senso delle rivelazioni che per la prima volta vanno a incunearsi in uno dei rapporti politici e personali più spersonali sorta di pilastro del sistema, com'è quello tra Letta e Berlusconi, occorre fare necessariamente un passo indietro. E ragionare per un momento su Letta separatamente da Berlusconi, perché di tutti i più stretti collaboratori del Cavaliere, il sottosegretario alla Presidenza è quello che ha una personalità e una storia autonoma, alle quali non ha mai rinunciato. Non a caso Letta ricorda sempre di non aver preso la tessera di Forza Italia e del Pdl, di sentirsi soltanto «un amico personale di Berlusconi» e averlo seguito nell'avventura politica come «uomo al servizio delle istituzioni». Quelle stesse istituzioni, che Letta, come direttore per 14 anni del «Tempo» di Roma, aveva frequentato nella sua prima vita di giornalista, e con le quali aveva creato speciali relazioni, portate in dote a Berlusconi nella sua seconda vita.

Abituato a muoversi sapientemente e con prudenza tra le «Sette Chiese», come si chiamano a Roma i luoghi del potere, Letta infatti appartiene a una generazione abituata a includere tra i Palazzi anche quelli vaticani d'Oltretevere e l'ambasciata americana di via Veneto. Chi lo conosce da più tempo, ad esempio, ricorda la soddisfazione di quando, ai tempi in cui faceva ancora il giornalista, e nell'incredulità dei suoi colleghi, fu tra i primi ad annunciare che, dopo la sfortunata esperienza di Carter, gli Usa nel 1980 stavano per affidarsi a un personaggio non molto conosciuto, un attore di nome Reagan.

Letta insomma, davanti all'ambasciatore americano, come davanti a un alto prelato della Santa Sede, si comporta come quando si trova al cospetto del Segretario generale del Quirinale, del Capo dello Stato o del presidente della Camera: in questo senso è abituato a parlare seriamente e senza reticenze, e proprio come chi ha rispetto delle istituzioni e si sente onorato di servirle. Questa premessa può aiutare a capire meglio le confidenze che Thorne ha inserito nel suo cablo «confidential».

Thorne incontra Letta - dettaglio da non trascurare - dopo che l'ambasciatore ha raccolto da Giampiero Cantoni, vecchio amico e compagno di scuola del Cavaliere, e probabilmente non solo da lui, indiscrezioni sul deterioramento della salute di Berlusconi, dovuto all'evoluzione della sua vita privata e al ritmo delle sue nottate, che alle persone più vicine al premier appaiono dissennate. Alcune conseguenze di quest'andazzo, come quella di addormentarsi all'improvviso anche in pubblico, all'ambasciatore risultano direttamente, visto che Berlusconi s'è assopito anche in sua presenza. Ma a questo punto Thorne non può più accontentarsi di pettegolezzi, seppure di prima mano. Ha bisogno di una valutazione più approfondita e per questo si rivolge a Letta.

E' verosimile che l'ambasciatore sia rimasto impressionato da quel che ha ascoltato da Cantoni e da altre sue fonti: la descrizione del presidente del Consiglio estenuato, stanco, in cattiva salute, come dimostrerebbero perfino le analisi cliniche a cui si è dovuto sottoporre, e soprattutto perso appresso ai suoi festini, è allarmante. Alle voci che Thorne riferisce a Letta in tutta franchezza e in tono assolutamente riservato, il sottosegretario replica come può: senza minimizzare, perché sono in gioco le relazioni con un alleato strategico come gli Usa, ma anche cercando di riportare la situazione sotto controllo. Così il quadro impressionante che l'ambasciatore ha messo insieme viene ridimensionato e ricondotto a un momento di difficoltà, di un premier che anche a causa del suo iperattivismo ha le pile un po' scariche, «è fisicamente e politicamente debole», s'è fatto purtroppo scappare il piede dalla frizione in occasione della sentenza della Corte Costituzionale che ha annullato il lodo Alfano, con una reazione accolta gelidamente dal Quirinale, ed ha naturalmente delle rivalità interne nella coalizione che lo sostiene, al punto che esiste anche un «piccolo ma improbabile» rischio che il governo cada. Letta fa Letta, in altre parole: non può negare, ma bada a mettere in guardia dalle esagerazioni. E' chiaro che queste affermazioni di Letta hanno per l'ambasciatore molto più valore dei gossip - non sappiamo quali, né di quale tenore, se meglio o peggio di quelli di Cantoni - piovuti sul suo tavolo. E Thorne, di conseguenza, ne fa il supporto principale del rapporto che invia a Washington.

Quale sia stata la reazione dell'amministrazione Bush dopo queste comunicazioni, non è dato sapere, anche se formalmente, come ha confermato Hillary Clinton, parlando anche dei precedenti governi americani, le relazioni Italia-Usa sono rimaste eccellenti. E' verosimile, pur se ovvio, che all'ambasciatore sia stato raccomandato di stare con gli occhi aperti e tenere la bocca serrata. Ma ora che Wikileaks ha scoperchiato la pentola in ebollizione della corte berlusconiana nei giorni del declino, non si potrà certo far finta di niente. Né si può ancora prevedere quale effetto avrà, sul governo traballante in attesa della sfiducia, l'involontaria incrinatura del pilastro Berlusconi-Letta, causata dalle ultime rivelazioni.

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