Oltre le scuse di rito, il giudizio della diplomazia Usa sulla relazione speciale con Mosca rimane negativo. L'ex ambasciatore Spogli: "Le forniture energetiche possono compromettere la sicurezza dell'Italia"
NEW YORK - "Due tycoon-oligarchi, con un rapporto personale che scavalca le istituzioni dei loro paesi, Silvio Berlusconi e Vladimir Putin hanno trovato nell'energia il terreno per un business condiviso. Eni e Gazprom sono diventati il centro dei loro interessi comuni". L'accusa è dettagliata nei rapporti dell'allora ambasciatore Usa Ronald Spogli da Roma.
Coincideva con le informative che partivano dall'ambasciata americana di Mosca, ora divulgate da WikiLeaks. E su queste analisi non c'è oggi nessuna scusa ex-post, nessuna smentita: corrispondono con la diagnosi che tuttora a Washington viene fatta sull'anomalo rapporto personale tra i premier italiano e russo. "Affaristi più che statisti, hanno trasformato la politica estera in un business, e le aziende di Stato vanno piegate ai loro fini", è il sunto che viene confidato da uno dei massimi esperti di politica energetica al Dipartimento di Stato.
È il 26 gennaio 2009, manca poco alla sua partenza da Roma, quando l'ambasciatore Spogli nominato da George Bush consegna il suo lungo rapporto classificato "segreto" con il titolo "Italia-Russia, la relazione vista da Roma". Una relazione che Spogli vede "dominata dalle forniture energetiche", anche a costo di "compromettere la sicurezza dell'Italia". Un'analisi preveggente visto che Putin un anno e mezzo dopo nel ventilare la possibilità di ricandidarsi alla presidenza evocherà il disegno di "dominare l'Europa occidentale con le forniture di gas". Nella relazione dell'ambasciatore Usa si legge che "rispetto all'influenza del ministero degli Esteri e dell'Eni, a determinare la politica dell'Italia verso la Russia il fattore di gran lunga più importante è l'attenzione personale che Putin dedica alla sua relazione con Berlusconi". Spogli dipinge un quadro in cui Eni e Gazprom vengono spremute e manipolate dai due capi di governo. L'ambasciatore si rifà a fonti dello stesso Polo delle Libertà, oltre che dell'opposizione: "Sono convinti che Berlusconi e i suoi accoliti traggano cospicui profitti personali da molti contratti di fornitura energetica tra Italia e Russia". Poi cita l'ambasciatore georgiano a Roma: "Il suo governo ritiene che Putin ha promesso a Berlusconi una percentuale dei profitti da ogni gasdotto sviluppato da Gazprom in coordinamento con l'Eni". L'allusione è ai progetti delle reti Nord Stream e South Stream, per trasportare gas russo verso l'Europa occidentale e meridionale bypassando Ucraina e Bielorussia. Entrambe osteggiati dagli americani che li dipingono come un cappio al collo dell'Europa. Su scelte che toccano il futuro energetico dell'Italia e quindi gli interessi vitali del paese, Spogli riferisce che tutti i suoi interlocutori "alla Farnesina, tra i collaboratori del premier, nel suo partito, e perfino l'Eni, sostengono che Berlusconi decide sulle politiche verso la Russia di testa sua, senza cercare né ascoltare consigli". Tutto si gioca in quel filo diretto con il tycoon-oligarca Putin, con sullo sfondo i sospetti sui rispettivi tornaconti.
Eppure l'Eni, per quanto "usato" da Berlusconi per i suoi interessi personali secondo quei comunicati, nel rapporto dell'ambasciatore viene descritto come una potenza. Diversi paragrafi sono dedicati a sottolineare "il suo immenso potere politico", la "sua rete di lobby" più ricca di molte strutture governative, "l'accesso diretto dell'amministratore delegato Paolo Scaroni a Berlusconi, almeno equivalente a quello che il premier concede al suo ministro degli Esteri". Il direttore delle relazioni istituzionali dell'Eni si vanta con l'ambasciatore Usa di vedere Gianni Letta una volta alla settimana. L'azienda "secondo esponenti di tutti i partiti è uno dei principali finanziatori dei think tank che organizzano dibattiti sulle relazioni Italia-Russia". C'è anche il sospetto, riferisce Spogli al Dipartimento di Stato "che l'Eni mantenga dei giornalisti a libro-paga". In quanto alla rappresentanza Eni a Mosca, "è superiore all'ambasciata italiana". Spogli lamenta il fatto che "i leader di tutti gli schieramenti politici italiani sembrano stranamente indifferenti rispetto alla dipendenza energetica verso la Russia", un'allusione al fatto che l'accordo Eni-Gazprom per il gasdotto South Stream era stato firmato quando era presidente del Consiglio Romano Prodi, durante una visita a Mosca dello stesso Prodi il 22 novembre 2007. Ma è Berlusconi quello che sembra trattare l'Eni come roba sua, e al Dipartimento di Stato ancora oggi ricordano la sorpresa del 10 ottobre 2008, quando al culmine della crisi finanziaria globale e con le Borse mondiali in picchiata, Berlusconi in una conferenza stampa distribuì "consigli d'acquisto" dicendo che era il momento di comprare azioni Eni, "che quest'anno farà profitti eccezionali".
Oggi Washington ci tiene a distinguere le divergenze "storiche" e "fisiologiche" tra gli Stati Uniti e l'Eni, dalla gestione berlusconiana della politica energetica italiana in stretta sintonia con Putin. Con l'Eni, ammettono i miei interlocutori di Washington, i conflitti geoeconomici risalgono all'èra di Enrico Mattei, per arrivare fino alla partecipazione di Gheddafi nel capitale. C'è un'antica rivalità tra l'Eni e la sua proiezione d'interessi verso l'Africa, l'Asia, l'America latina, e le compagnie petrolifere Usa. Su questo fronte l'Amministrazione Obama considera un successo l'impegno che l'Eni abbandonerà ogni nuovo progetto in Iran e si limiterà a recuperare gli investimenti già compiuti in passato (ne restano 1,4 miliardi di dollari). E' sempre WikiLeaks ad avere diffuso il resoconto di un incontro di Scaroni a Washington il 16 settembre 2009 in cui ha promesso agli americani "l'abbandono dei piani di sviluppo per la terza fase del giacimento petrolifero iraniano di Darquain". Per Washington resta invece da indagare il ruolo dei due premier. Con i ribassi nelle quotazioni dell'energia dopo la recessione, tutti i calcoli di lungo periodo sul mercato del gas sono stravolti. Due esperti indipendenti come Julia Nanay di Pfc Energy e Jonathan Stern dell'Oxford Institute for Eenergy Studies concordano che nei grandi investimenti sui gasdotti dalla Russia c'è più politica che logica economica. E Hillary Clinton fino alla vigilia della bomba-WikiLeaks non ha smesso di premere sulle sue ambasciate: per saperne di più sulla dimensione privata in quel business energetico tra Berlusconi e Putin.
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