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18 nov 2010

Il «dopo Berlusconi» adesso ruota intorno ai conti pubblici

Ma il premier e la Lega ripetono: o fiducia o voto anticipato

L'inquietudine per la situazione economica è autentica e trasversale. Ma il modo in cui viene evocata una possibile crisi dei conti pubblici in caso di elezioni sta assumendo contorni strumentali. Gli echi delle difficoltà finanziarie di Irlanda e Portogallo sono già diventati un pezzo della pretattica che accompagnerà governo ed opposizione fino al voto parlamentare del 14 dicembre: quello che deciderà la sorte di Silvio Berlusconi. Il centrodestra usa l'argomento per chiedere che il premier vada avanti; che rientrino le minacce di crisi da parte di Futuro e libertà, con la sponda di Udc e Pd. «Sarebbe una iattura assoluta», ha avvertito ieri Berlusconi. Di più, un atto di «irresponsabilità».

La cosa singolare è che anche l'opposizione utilizza la crisi economica: ma per ragioni diametralmente opposte. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, e Pier Ferdinando Casini, dell'Udc, legittimano la caduta di questo governo per sostituirlo con uno di «responsabilità nazionale» con dentro tutti; e accusano il capo del centrodestra di fingere di volere la stabilità, mentre lavorerebbe insieme con la Lega solo per arrivare alle urne il 27 marzo. Si tratta di un argomento scivoloso per tutti, e a doppio taglio. Gridare al pericolo di un disastro finanziario è una controindicazione forte alle elezioni anticipate; ma offre anche a Berlusconi un'arma per rispondere a chi vuole la crisi.
È la nuova frontiera polemica lungo la quale si stanno disponendo i partiti. Ma ruota intorno al tema di sempre: la possibilità di continuare la legislatura senza che a Palazzo Chigi sieda ancora Berlusconi. Si tratta di un'eventualità remota, al momento. Pdl e Lega sono concentrati sull'alternativa «fiducia o elezioni». Scartano l'ipotesi di un Berlusconi bis. Ed accusano la sinistra di «voler fare credere che l'Italia stia correndo gli stessi rischi di altri Paesi», nelle parole del sottosegretario Paolo Bonaiuti: allusione a Irlanda e Portogallo, che fanno tremare l'euro.

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, vede un'opposizione pronta ad augurarsi una crisi dell'economia «per giustificare quello che avrebbe un solo nome: ribaltone». È questa, secondo la maggioranza, la sostanza della «grande coalizione», sul modello tedesco, rilanciata ieri da Bersani e Casini: un tentativo di portare al governo le forze sconfitte dal 2008, e spaventate dalla prospettiva di una nuova vittoria del centrodestra. Berlusconi le addita come il vero fattore di destabilizzazione, tentando di allontanare da sé il sospetto di puntare diritto alle urne. Lo contraddice il fatto che la Lega, ma anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa abbiano già indicato il 27 marzo del 2011 come data del voto.

Il premier sostiene di tenere «un profilo basso», e di farlo «per le preoccupazioni che deriverebbero dall'instabilità di governo e per l'attenzione ai titoli del debito pubblico che dobbiamo vendere ogni giorno. Il prossimo anno», ricorda Berlusconi, «sono per 250 miliardi di euro». Sembra così raccogliere l'invito che Giorgio Napolitano ha rivolto a tutti perché dimostrino responsabilità. Il timore che nelle prossime tre settimane il governo racimoli qualche voto e ottenga di nuovo la fiducia è manifestato apertamente solo da Antonio Di Pietro; ma serpeggia anche nel resto dell'opposizione. Potrebbe essere il risultato paradossale di una «sindrome irlandese e portoghese» alimentata per terremotare Berlusconi; ma forse destinata a produrre effetti meno scontati.
D'altronde, l'arresto del boss latitante Antonio Iovine è un colpo che rafforza il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e di riflesso Palazzo Chigi.

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