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8 nov 2010

Fini a Berlusconi: vai al Quirinale e dimettiti. Il premier ribatte: apri la crisi in Parlamento

Affronta il discorso forse più importante della sua carriera politica con la solita freddezza, eppure prima di salire sul palco un chewingum masticato nervosamente tradisce un po' di tensione. Gianfranco Fini chiede aBerlusconi di aprire la crisi: «Deve essere lui a decidere di rassegnare le dimissioni, salire al Colle e dichiarare che la crisi è aperta di fatto, avviare la fase in cui rapidamente si ridiscutano agenda e programma, verificare la natura della coalizione e la composizione del Governo. Noi non ci tireremo indietro. Se avrà questo coraggio sarebbe davvero una bella svolta del predellino se invece prevarrà l'atteggiamento autoconsolatorio quanto fasullo di dire va tutto bene, allora Ronchi, Urso, Menia e Buonfiglio non rimarranno un minuto in più in quel governo». È la svolta che la base chiedeva, il passaggio che più o meno apertamente molto degli interventi alla convention di Perugia auspicavano. Il padiglione di Umbriafiere sembra esplodere. «I nostri gruppi continueranno a votare le cose che condividono», precisa Fini. Ma «se proseguiranno i giochetti di palazzo la spina la staccheranno gli italiani».

Poco prima che il presidente della Camera prendesse la parola, i membri Fli del governo Andrea Ronchi, Antonio Buonfiglio, Adolfo Urso e Roberto Menia avevano rimesso nelle mani del leader del partito il loro mandato. Quella che Fini ha aperto a Perugia, di fatto non è solo una crisi di governo, ma di tutta la Seconda Repubblica. Non a caso considera che «non tutto quel che era nella Prima Repubblica è da buttare». E dice di rimpiangere il rigore di Moro, Berlinguer, Almirante, La Malfa, i quali «non si sarebbero mai permessi di trovare ridicole giustificazioni a ciò che non può essere giustificato». È uno dei passaggi più applauditi del suo discorso. Sul suo movimento chiarisce che Futuro e libertà « non può rinunciare alla sua identità e autonomia soltanto perché è invitato ad accettare il patto di legislatura». Un altro affondo al premier arriva sulla questione dei centristi: «è illusorio pensare che l'Udc dica sì al sostegno al governo. Sono logiche che non appartengono alla politica legata alle identità, è una logica che appartiene all' identità mercantile».

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