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20 apr 2010

Paolo Pellegrini, l’italiano che sbancò Wall Street


Solo cinque anni fa il nuovo guru italiano di Wall Street guardava gli annunci di lavoro, sperando di rivitalizzare la sua carriera nella finanza. Come passa veloce il tempo a New York.
Ora le reti televisive come Bloomberg fanno a gara per avere l’opinione di Paolo Pellegrini sul mercato: pessimista sull’economia americana e sul dollaro appesantiti dal deficit, lui punta su Asia e petrolio.
Il settimanale New York magazine racconta i suoi vezzi, come quello di guidare la Ferrari F430 che si è regalato sul circuito di Monticello a nord della città. E i grandi investitori aspettano ansiosi il momento, nel 2010, in cui potranno mettere soldi nel suo fondo Psqr, nome che è allo stesso tempo un anagramma (della sigla Spqr, in onore di Roma dove è nato) e un gioco di parole (sta per Paolo o Pellegrini «square», al quadrato).

Ma solo cinque anni fa, quando Pellegrini aveva già 47 anni, la migliore opportunità che trovò fu quella che gli offrì quasi imbarazzato il suo vecchio amico John Paulson: un posto da analista junior lasciato libero da un giovane alle prime armi che voleva tornare all’università. Di tutti i sogni americani nati negli ultimi anni, quello di Pellegrini è forse il più sorprendente, e non solo per l’epilogo che fa ormai parte della leggenda della finanza americana accanto al cassettismo di Warren Buffett e alla puntata da 1 miliardo di George Soros contro la sterlina.

Pellegrini ha superato anche loro. Grazie alla sua intuizione sul collasso immobiliare incombente, e alla brillantezza dei modelli da lui creati per scommettere su questo evento, ha fatto guadagnare circa 15 miliardi di dollari solo nel 2007 all’hedge fund Paulson & Co. La più grande scommessa di borsa da sempre (The greatest trade ever) l’ha definita il giornalista del Wall Street Journal Gregory Zuckerman in un saggio appena uscito con questo titolo.

In cui si dimostra che anche quando Wall Street accumula perdite per circa 30 mila miliardi, come è successo tra il 2007 e il 2008, è possibile costruire un’enorme fortuna. Ma non è facile: «Non basta intuire che una bolla sta per scoppiare» spiega Zuckerman a Panorama. «E non basta capire come approfittarne. Bisogna anche avere la fortuna e l’abilità di farlo al momento giusto».

Quella che racconta Zuckerman è quindi anche la storia di due destini che si incrociano appena in tempo. Dopo essersi conosciuti ai tempi della business school di Harvard, e di uno stage alla Bear Stearns, Paulson e Pellegrini attraversavano entrambi momenti difficili quando si incontrarono di nuovo nel 2005. Alla guida di un fondo da 2 miliardi di dollari, Paulson racimolava guadagni minuscoli rispetto a quelli dei suoi colleghi che investivano liberamente nel boom del mercato immobiliare, di cui lui invece diffidava. E Pellegrini era ancora alla ricerca dell’occasione buona per sfondare alla grande in un mondo che non aveva mai compreso del tutto il suo talento.

Nato a Roma, Pellegrini si era trasferito a Milano da bambino: suo padre Umberto era un fisico che insegnava al Politecnico, sua madre Anna era professoressa di biologia al liceo. Entrambi disprezzavano il denaro, e forse per questo da bambino Paolo aveva costruito col Lego una banca. Laureato in ingegneria, con un talento per i numeri considerato da tutti i suoi insegnanti straordinario, e con un grande amore per il jazz, dopo Harvard Paolo trovò il suo primo lavoro alla Dillon Read e poi alla Lazard Freres, dove si specializzò nel settore assicurativo. Fu quello il periodo in cui prese lezioni di dizione per perdere il suo accento italiano che, racconta a Zuckerman, faceva diffidare i clienti della sua capacità di afferrare tutti i dettagli di una questione.

Per sua stessa ammissione il talento da venditore non era all’altezza della sua maestria finanziaria, e nel 1995 Pellegrini venne licenziato. Destino che si ripeté due anni dopo con la società assicurativa che aveva creato con William Michaelcheck, fondatore della Mariner investments, che però lo riassunse come analista nel 2003 dopo alcuni anni passati a fare il consulente: è in quel periodo che Pellegrini imparò a conoscere i derivati che gli sarebbero poi tornati tanto utili nella sua scommessa sui subprime.

In quel 2005 Paulson incaricò Pellegrini di capire se si stava sviluppando una bolla nel mercato immobiliare. Pellegrini si mise al lavoro e passò lunghe serate ad analizzare dati nel cubicolo del suo ufficio e nell’appartamento di Mamaroneck, fuori New York, dove era andato ad abitare dopo il secondo divorzio.



A Zuckerman racconta che fra le sue motivazioni c’era anche la necessità di restare negli Stati Uniti vicino ai suoi due figli. Gli ci vollero settimane di analisi per elaborare una tabella che divenne la stele di Rosetta che l’hedge fund usò per approfittare del mercato. Nel grafico si vedeva chiaramente come, al netto dell’inflazione, i prezzi delle case fossero aumentati dell’1,4 per cento appena dal 1975 al 2000, crescendo del 7 per cento nei 5 anni successivi. Per conformarsi nuovamente alla serie storica, i prezzi delle case avrebbero dovuto crollare del 40 per cento.

Pellegrini non fu l’unico finanziere a intuire che cosa stava succedendo. Ma fu il primo a capire che il modo migliore per scommettere contro il mercato immobiliare non era puntare sulle aziende costruttrici, come avevano fatto altri, ma comprare Cds, i credit default swap che di fatto assicuravano i mutui più a rischio. Poiché nessuno pensava che il mercato potesse crollare, il costo dell’operazione era irrisorio: per assicurare 1 miliardo di mutui di categoria «BBB», tra i più incerti, bastavano 10 milioni l’anno. «Nel corso del tempo però Paulson e Pellegrini scommisero anche sui Cdo, ovvero sui derivati in cui venivano aggregati i mutui» spiega Zuckerman. «E sull’indice Abx dei mutui subprime».

Vennero creati due fondi specializzati nella scommessa sui subprime, entrambi codiretti da Pellegrini: il Credit Opportunities I e II. Il risultato fu straordinario: alla fine del 2007 la Paulson & Co. mostrava un rialzo del 590 per cento. E la cena di fine anno per gli investitori del fondo al Metropolitan club di Manhattan venne innaffiata da bottiglie da 200 dollari di Sassicaia e altri vini italiani selezionati da Pellegrini.

In quell’anno John Paulson portò a casa un guadagno personale di 4 miliardi di dollari, a cui si aggiunsero i 2 guadagnati l’anno dopo, quando il fondo si ricalibrò puntando sulla crisi delle istituzioni finanziarie.

Anche il bonus di Pellegrini fu cospicuo. Sempre prudente, non aveva mai detto veramente alla terza moglie Henrietta quanto stesse guadagnando: ha lasciato che lo scoprisse lei stessa usando il bancomat durante una vacanza nell’isola caraibica di Anguilla a fine 2007. Sullo schermo apparve un saldo da 45 milioni di dollari, solo una parte del bonus che avrebbe poi aiutato Pellegrini a far partire il suo fondo d’investimento Psqr. Con cui sta già dimostrando di non essere solo un analista ossessivo e talentuoso, ma anche uno straordinario gestore: allo scorso luglio il fondo era già salito dell’80 per cento circa.

La sua specialità sono gli investimenti macro: quelli sui grandi cambiamenti che stanno cioè sotto gli occhi di tutti, ma che spesso è così difficile decifrare. Perlomeno per chi non li sa leggere.

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