E sul ministero dell’Agricoltura: mi impunterò, non lo molleremo
Umberto Bossi con il figlio Renzo nel comizio di Brescia (Stefano Cavicchi) BRESCIA — «Per mio papà è la prima volta. E mi sa che è più emozionato di me». Renzo Bossi scherza dal palco sulla piazza del Mercato di Brescia. Ma probabilmente ci prende. Umberto Bossi è lì, al suo fianco, per la prima volta nella lunga campagna elettorale della Lega, e può misurare l'appeal del figlio su quella folla che ha portato lui ad essere l'uomo più potente del governo dopo Silvio Berlusconi. Sotto il palco, uno striscione lo saluta: «Renzo figlio di Umberto, Lega figlia di Bossi». Una sorta di «fratellanza» che poco più tardi Rosy Mauro ribadisce: «Noi al progetto di Umberto ci siamo arrivati, lui ci è nato in mezzo». Ma in effetti il «Capo» ci tiene per davvero. Al punto da strizzare l'occhio: «Vi spiego come si vota. Voi mettete la croce sul guerriero, basta quello. Poi, se proprio volete un nome, c'è Bossi». Il leader leghista, però, tiene a sottolineare che a Renzo non è stato regalato niente: «Noi siamo quelli che mandano avanti chi lavora. E anche con mio figlio è stato lo stesso. Lo abbiamo fatto venire in consiglio federale e gli abbiam detto: vediamo un po’ quello che hai fatto ». La strada per arrivare alla serata di ieri è stata lunga. Molto è accaduto dopo che per la prima volta il capo leghista presentò il figlio ai militanti.
Lo fece nel modo più simbolico possibile, in un’occasione ad altissima carica emotiva: Renzo apparve al suo fianco nel 2005 a Lugano, nella casa in cui abitò Carlo Cattaneo, alla prima uscita di Bossi dopo lo «schioppone» che l’aveva colto l'anno prima. Con i militanti con la pelle d’oca nel rivedere quel «capo» che in molti temevano aver perso. Dopo quel momento, l’atteggiamento del leader fu altalenante. Da una parte, l’orgoglio e la voglia di vederlo nell’agone. Dall'altra la preoccupazione di bruciarlo, di esporlo alla prima fila del fuoco mediatico senza la gradualità necessaria a chi ha un cognome meno impegnativo. Da qui la sdrammatizzazione della «trota», come lo ribattezzò a chi gli chiedeva se sarebbe stato il suo delfino. Da qui l’annuncio, nel settembre scorso: «Lascerà l’Italia. Qui lo attaccano per attaccare me». Poi, con le Regionali Bossi rompe gli indugi: «Ho visto che aveva trovato la sua strada». E il giovane Renzo sta alla parte. Parla di lavoro, conduce tutta la campagna elettorale da presidente dell'Aditer, una non notissima associazione delle imprese del territorio. Una scelta forse azzardata, visto che i presidenti di associazione imprenditoriale di 22 anni sono rari. Però, lui ci si butta: il lavoro è il filo conduttore di tutti i comizi. Con Bossi che incalza: «I nostri dovranno andare in Regione con le forbici. Per tagliare. Tutte le risorse devono andare per il lavoro». Il cuore di papà è soddisfatto: «È stato abbastanza bravo ». E alla fine la promessa del leader sul ministero dell’Agricoltura: «Se Zaia non resterà lì non sarà facile che la Lega lo molli. Io mi impunterò. E in Lombardia più forti saremo e più ci impunteremo».
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