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28 dic 2009

Banche, in calo i prestiti ma dal trading profitti d'oro


Gli osservatori lo ripetono da tempo. Il 2010 sarà un anno difficile per le banche italiane che dovranno affrontare il tema insidioso dei crediti a rischio. Che stanno aumentando in modo esponenziale e che impatteranno sui profitti degli istituti. Le sofferenze lorde dell'intero sistema hanno superato quota 55 miliardi di euro e quelle nette hanno sfondato il tetto dei 31 miliardi. Se poi si aggiungono alla lista dei crediti difficilmente recuperabili quelli incagliati, ecco spuntare dal cilindro la poderosa cifra di 60-70 miliardi. Quattro o cinque finanziarie, 15 volte i profitti di un anno di una banca come UniCredit nei tempi d'oro pre-crisi. E questa massa di denaro finisce nella parte bassa del bilancio come accantonamento che finisce per deprimere la redditività degli istituti.

È una spiegazione possibile (tra le tante) alla stretta sul credito. Non solo manca la domanda da parte di imprese e famiglie (dicono i banchieri), ma dato che prestare soldi diventa pericoloso meglio farlo meno. Qualche dato: Unicredit ha visto calare da settembre 2008 a settembre 2009 il suo monte crediti alla clientela da 612 miliardi a 565 miliardi (-7,7%); Intesa Sanpaolo ha limato del 4,4% i suoi prestiti e in generale a livello di sistema il monte prestiti scenderà nel 2009 del 3%.

Ma se la cautela degli istituti di credito nell'aprire i rubinetti è in parte comprensibile visti i chiari di luna, meno comprensibile è quella voglia di rivincita sul fronte della finanza facile. Già perché le banche italiane (come del resto quelle di tutto il mondo) sono tornate a speculare su tassi, obbligazioni e azioni come se la crisi non ci fosse mai stata. È quello che in gergo si chiama trading finanziario: si comprano e vendono titoli e si guadagna sulla differenza. Il finanziamento è dei più ghiotti. Con i tassi così bassi ci si indebita a volontà e si usano i volumi di denaro raccolto per investire. Il risutato è confortante per le banche.

Nei 12 mesi intercorsi tra settembre 2008 (a ridosso del crack di Lehman) e settembre 2009 un istituto come UniCredit ha realizzato dal trading profitti per 1,6 miliardi dopo aver chiuso a settembre del 2008 con perdite per 700 milioni. Intesa Sanpaolo ha portato a casa utili da trading per 990 milioni solo da inizio d'anno. Ubi con la gestione del portafoglio è passata da perdite per 240 milioni a un attivo di 93 milioni. La dinamica è la stessa per tutti gli istituti più rappresentativi. Dalla compravendita di attività finanziarie si compensa in parte la caduta degli utili che per il 2009 si attesterà in media per il settore al 45%. Una buona consolazione non c'è che dire. Resta il fatto che con tassi mai così bassi, e con i prezzi di bond, azioni, materie prime che salgono un po' dappertutto, è un gioco da ragazzi fare soldi con la finanza. Un po' più difficile fare banca tradizionale, cioè prestare il denaro senza incorrere in troppi rischi, vista la congiuntura. Ma per questo esistono le banche e sono ben remunerati i grandi banchieri che in questa fase sembrano aver abdicato al loro ruolo tradizionale. Molto più facile e meno rischioso fare soldi con la finanza che non con le imprese.

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