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3 nov 2009

QI sopra la media? Non basta Essere "smart" è molto di più


Essere "smart" è molto di più
Piovono critiche ai test del quoziente intellettivo: "Sono sopravvalutati". E tra esempi illustri e nuove teorie, spunta il misuratore della razionalità



BUONE notizie, almeno in parte, per tutti coloro che hanno sempre avuto il complesso di non avere un quoziente intellettivo "da record", per così dire. A consolare anti-logici e allergici alla matematica sono alcuni studiosi americani e canadesi che puntano il dito contro il QI, definendolo una misurazione poco veritiera dell'intelligenza "reale" di un individuo. Secondo un articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista New Scientist, valutazioni di questo tipo potrebbero spiegare il comportamento "poco brillante" di alcune personalità di spicco della politica internazionale. Uno su tutti, l'ex presidente degli Stati Uniti Gorge W. Bush, il cui quoziente intellettivo (stimato attorno ai 120 punti) lo collocherebbe tra il 10 per cento più intelligente della popolazione mondiale. Un piazzamento che lascia perplessi, considerando le tante uscite "poco furbe" dell'ex presidente, come le hanno definite in varie occasioni persino i suoi sostenitori politici.

Ebbene, il QI non è tutto, ci dicono gli esperti di ragionamento e psicologia dello sviluppo di alcuni tra i più importanti centri di ricerca del mondo. A guidare la rivolta contro i famigerati test dell'intelletto è Keith Stanovich, professore di sviluppo umano e psicologia applicata all'università di Toronto, in Canada. Stanovich ha passato circa 15 anni della sua carriera a lavorare alla tesi per cui anche i cervelloni possono agire in maniera stupida, e viceversa. Il problema, dal suo punto di vista, sta nel modo in cui viene comunemente valutata l'intelligenza di una persona.

In particolare, il QI non sarebbe un valido indicatore di razionalità o "good thinking", come si dice in termini tecnici. Essere "clever" sulla carta - vale a dire "intelligenti" - non vuol dire necessariamente essere "smart", ossia "pronti", "svegli", "reattivi" alle circostanze.

Secondo Stanovich e altri studiosi, i test per misurare il QI sono in grado di valutare solo certe facoltà mentali, tra cui l'attitudine alla logica e al ragionamento astratto, la velocità di apprendimento e le capacità mnemoniche: tutte informazioni legate alla quantità di "materiale" che un individuo riesce a contenere nel proprio cervello. Da questi indicatori resterebbe completamente esclusa l'abilità di giudicare e prendere decisioni nelle situazioni reali: il cosiddetto ragionamento "intuitivo" o "spontaneo", così importante da poter far diventare "smart" un "fool", e "fool" un "clever".

Per David Perkins, docente di scienze del ragionamento alla Harvard Graduate School, avere un quoziente intellettivo alto è un fattore positivo, ma non è certo sinonimo di intelligenza tout court. "Avere un buon punteggio di QI è come l'altezza per un giocatore si pallacanestro", spiega con una metafora. "Certamente non guasta, ma da ci sono molte altre dimensioni da considerare. Essere un buon cestista implica molto di più di essere alti. Allo stesso modo - prosegue - essere un buon pensatore va ben oltre un quoziente intellettivo sopra la media".

Critiche allo strapotere del QI arrivano anche dall'università di Plymouth, nel Regno Unito. Secondo Jonathan Evans, professore di psicologia cognitiva, "i test del quoziente intellettivo sono sopravvalutati in gran parte delle nostre società, dal momento in cui determinano la carriera accademica e professionale di milioni di persone in tutto il mondo". Ogni anno, infatti, l'accesso a università, concorsi e incarichi pubblici di alto respiro è assegnato sulla base di un punteggio che, nei fatti, "rappresenta solo una parte del nostro essere smart".

La sfida, per gli psicologi e i guru del ragionamento, è trovare un modo per "misurare" entrambe le dimensioni della cognizione umana: vale a dire l'intelligenza in senso stretto (intesa come capacità di ragionamento astratto) e il pensiero pratico razionale. Un'impresa non facile, se si pensa alle innumerevoli variabili che guidano i comportamenti e le scelte quotidiane. Alcuni studiosi, tra cui lo stesso Keith Stanovich, hanno proposto di affiancare ai grattacapi matematici dei test per valutare il "quoziente razionale", coniando per l'occasione la sigla RQ (da "rationality-quotient"). Peccato che, anche in questo caso, i dubbi si moltiplichino dando origine a nuove domande. Tra cui: come assegnare un numero alla capacità di reazione dei singoli? E come decidere quale azione è razionalmente migliore di un'altra? E ancora, come garantire una valutazione oggettiva delle intuizioni? La risposta al più intelligente... Ops, al più smart, sempre che i nuovi test siano in grado di scovarlo tra tanti.

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