Metti mi piace

29 ott 2009

Super Google spaventa il mondo


Controllo dati e telefonini: i nuovi timori di governi e imprese




NEW YORK — Fog, «fear of Goo­gle ». Il timore che l’azienda di Moun­tain View possa diventare un «mono­polista della conoscenza» difficile da scalfire e con un’incredibile forza di penetrazione nelle vite della gente è ormai talmente diffuso che un paio d’anni fa, per evocare le paure susci­tate da Google, è stato addirittura co­niato un acronimo.

Preoccupazioni che avevano cominciato a prendere forma fin dal 2004, quando l’azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin cominciò ad assumere la forma di una corazzata dell’«information tech­nology ». Che fin dall’inizio non na­scose l’ambizione — allora conside­rata un po’ «naive» — di «organizza­re tutta la conoscenza del mondo». Quelle paure, oggi meno citate di qualche anno fa dalla stampa, sono sempre più diffuse e radicate a livel­lo di governi e nelle grandi imprese: la crescita tumultuosa di Google e lo sviluppo di tecnologie potentissime e ubique, capaci di radiografare gli angoli più remoti della realtà, hanno — infatti — nel frattempo moltipli­cato le aree «sensibili». Non si tratta più solo del controllo dei due terzi del mercato mondiale della ricerca di dati e informazioni o del sistema di posta G-mail che scruta elettroni­camente ogni messaggio e invia avvi­si pubblicitari personalizzati all’uten­te «spiato».

Le incognite del futuro riguardano anche nuove aree come le comunicazioni telefoniche nelle quali Google sta entrando con la piat­taforma Android e i sistemi Google Voice e Google Wave. Certo, oggi i business prevalenti sono ancora quelli legati agli 800 mi­lioni di computer quotidianamente attivati in tutto il mondo. Qui, colle­gando i suoi vari sistemi — dalla «bi­blioteca universale» a Google News, dagli archivi sanitari «on line», ai vi­deo di YouTube — il gigante della Si­licon Valley è teoricamente in grado di costruire una sterminata mappa di profili personali sempre più artico­lati e penetranti: non più soltanto co­sa consumi (gli acquisti online, gli annunci pubblicitari realmente con­sultati) e dove vai (prenotazioni di voli, treni, alberghi, concerti o tea­tri), ma anche dove sei in questo mo­mento (dal sistema di localizzazione «Latitude» al nuovo servizio stradale basato su tecnolo­gia satellitare Goo­gle Maps Naviga­tion lanciato pro­prio ieri negli Usa). E poi, anco­ra, come stai (dati sulla salute), qual è il tuo presumibi­le orientamento politico e cosa leg­gi ( consultazione di siti d’informa­zione online, accessi alla «biblioteca universale», acquisto di libri digita­li). La società californiana si difende negando di comportarsi da monopo­­lista e sostenendo di aver sempre ri­spettato il motto dei suoi fondatori: «Don’t be evil», non fare mai del ma­le. Ma davanti all’infinita potenza tecnologica di Google, alla concen­trazione delle sue strutture in un so­lo Paese (gli Stati Uniti), la capacità di quest’azienda di far evaporare i «business model» di interi settori produttivi (dai giornali, sempre più in crisi, alle tv, le cui fondamenta vengono erose dalla crescita espo­nenziale di YouTube) e di trasforma­re con un «click» la «privacy» dei cit­tadini in un «optional», il problema non può essere ridotto alla buona fe­de dei fondatori e di Eric Schmidt. Anche se si ha fiducia nel vertice at­tuale di Google, nessuno può garan­tire per il futuro. E, come abbiamo vi­sto nel caso delle banche «too big to fail» (troppo grosse per essere lascia­te fallire), certi problemi è meglio af­frontarli per tempo. Ma, probabilmente, non è nemme­no questo il punto.

La questione ve­ra è che l’accelerazione dello svilup­po tecnologico di Google sta crean­do scenari economici, sociali e an­che giuridici mai immaginati prima: problemi che pochi percepiscono e nessuno sembra in grado di affronta­re. Basta pensare a quello che sta per accadere nel mondo dei telefoni do­ve sono già attivi 3 miliardi di cellu­lari e, soprattutto, 600 milioni di «smart-phone», capaci di collegarsi a Internet. Per questi apparecchi Go­ogle ha sviluppato la piattaforma An­droid e, in primavera, ha lanciato in via sperimentale il servizio telefoni­co via web Google Voice e Google Wave: un sistema che registra e ar­chivia tutte le comunicazioni di un utente che vengono trasformate in byte e che viaggiano (gratis) su Inter­net, anziché sulle normali linee tele­foniche. Chiamate che possono sem­pre essere riascoltate o aggregate con altre comunicazioni per nomi o per argomenti. Quando questo sistema sarà pie­namente operativo, l’utente america­no (in Europa i problemi regolamen­tari sono più complessi) che dà carta bianca a Google pur di risparmiare sulla bolletta, non saprà più nemme­no lui quali delle sue telefonate sono passate per i normali canali di tlc (che registrano la chiamata ma non il contenuto della conversazione) e quali, invece, sono state dirottate au­tomaticamente su Internet perché il «software» di Google ha individuato in quel momento una connessio­ne- dati affidabile.

Proviamo solo a immaginare co­sa, un domani, tutto ciò potrà signifi­care per le indagini disposte dall’au­torità giudiziaria: delle chiamate fat­te via Internet la società telefonica le­gata contrattualmente a quel telefo­nino non saprà nulla. Quella telefo­nata sarà stata integralmente regi­strata, ma si troverà in un «server» lontano, probabilmente negli Usa. Casi come questo si moltipliche­ranno man mano che la convenienza economica spingerà individui e im­prese a trasferire dati e «file» dai computer domestici e aziendali alle cosiddette «nuvole»: giganteschi «depositi di megabyte» offerti da operatori come Google. Il «cloud computing» è il nostro futuro: se ne è convinto anche il governo Usa che si sta già preparando. Hanno comin­ciato ad accettare questa realtà, sia pure con scarso entusiasmo, anche aziende come Microsoft e Yahoo! Ma le domande principali rimangono senza risposta. Chi sarà il re delle nu­vole? E chi lo controllerà?

corriere

Nessun commento: