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24 set 2009

Il marchio Google fa boom


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Che il brand sia ormai da tempo un asset sempre più importante per le aziende è dimostrato dall'attenzione crescente nei confronti delle classifiche sul valore economico dei primi 100 marchi stilate ogni anno da Interbrand. Una premessa tecnica è necessaria. Il valore del brand, espresso in termini monetari, è dato dal valore attuale netto dei flussi economici che ci si attende che il brand generi in futuro, scontati per un tasso in grado di rifletterne il grado di rischio. Il calcolo è particolarmente complesso; chi vuole saperne di più, su fonti e criteri, si può collegare al sito www.interbrand.com, dove tra l'altro c'è un intero report dedicato alla classifica 2009. La classifica generale, guidata da Coca Cola, porta a una considerazione importante: il valore aggregato dei 100 brand scende mediamente del 5%, molto meno di quanto scenda il Pil mondiale. "Questo – dice Manfredi Ricca, business director di Interbrand – dimostra come in tempi di crisi il brand sia uno strumento di forte stabilità".

Per quel che riguarda i marchi Ict, salta subito all'occhio la performance di Google, con un pazzesco più 25 per cento. Fino a una decina di anni l'azienda non esisteva, oggi il marchio è ubiquo e pervasivo, apprezzato dall'intera comunità informatica, un'azienda che tratta da pari a pari coi colossi che hanno fatto la storia dell'informatica, che fa accordi a tutto campo, per esempio, coi fornitori di hardware, ecc. Il rischio che corre Google sta nella naturale diffidenza che suscita un'azienda che diventa grande e, appunto, pervasiva, e detta legge nel suo settore. Le prime avvisaglie di questo rischio nell'attenzione che l'antitrust ha manifestato le scorse settimane per il ruolo che Google ha assunto nel mercato pubblicitario. Ibm mantiene la seconda posizione in assoluto dopo la Coca Cola, e ovviamente la prima tra i tecnologici. Effetto, secondo Ricca, della capacità di trasformazione ("in pochi mesi!") da azienda di prodotto ad azienda di servizi, e di innovazione (nel 2008, Big Blue ha depositato ben 4000 brevetti). Seguono a ruota Microsoft e Nokia. Interessanti alcune storie. Come Xerox (59ma, cresce dell'1% e guadagna 3 posizioni) che ha saputo andare oltre l'immagine di doc company, ha avviato azioni di re-branding ("che vuol dire rifare il logo") e abbattere i costi. Apple aumenta il valore del marchio, grazie soprattutto al record di vendite di iPod, al buon successo di iPhone, al contributo che l'azienda offre a un mercato caratterizzato da altissimi tassi di innovazione. Ricca sottolinea come il marchio di Apple trasmetta, attraverso prodotti cult e la personalità di Steve Jobs, una forte componente iconica ed emotiva. Buona l'azione di Sap, che con le sue campagne rimanda il marchio al di là dei canali tradizionali di business, nel segno di una strategia del "più mi vedi, più mi ricordi". Non del tutto convincente una strategia tendente a "diluire il marchio" (sono parole di Ricca). E' il caso di Sony, con tutti i suoi marchi di successo (Vaio, Playstation, i prodotti di Sony Ericsson, ecc.), che però distraggono l'attenzione dal marchio principale, oltretutto a fronte di investimenti ragguardevoli (lanciare e mantenere un marchio costa un occhio nella testa…). Una strategia che non tiene conto della tendenza a perseguire la mitica convergenza, in cui gran parte degli attori (Samsung, tra questi) sono impegnati.
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