In fila Per vedere «American Casino» la gente si mette in fila
Giochi proibiti a Wall Street
Vite rovinate dai mutui e broker come mafiosi pentiti nel docu-film sulla crisi che emoziona tutti al Tribeca
NEW YORK - Ci sono facce note - l’ex capo della Federal Reserve, Alan Greenspan, che balbetta davanti al Congresso, ammettendo i suoi errori, l’ex presidente Bush che nel 2002 promette alle minoranze povere, neri e ispanici, di farli divenire proprietari di case, come i bianchi benestanti - e facce meno note: quelle della borghesia nera di Baltimora che gli ha creduto, si è caricata sulle spalle un mutuo e ora è «homeless». Ma la faccia che colpisce di più è quella del banchiere che racconta la follia di un’era in cui tutti rischiavano grosso coi soldi degli altri: inquadrato in penombra, senza nome, la voce distorta per renderla irriconoscibile, come un pentito di mafia.
Al Tribeca Film Festival di New York, il pubblico della prima di American Casino, primo documentario sulla crisi finanziaria girato dalla giornalista tv Leslie Cockburn, si spella spesso le mani, sghignazza quando l’ex capo di AIG, Martin Sullivan, nega che la sua assicurazione abbia fatto scelte scriteriate mentre un sottotitolo avverte che la compagnia, nazionalizzata, è già costata oltre 150 miliardi di dollari al contribuente Usa. C’è anche tempo per la commozione quando, alla fine della proiezione, la regista e i produttori, mentre dialogano col pubblico, chiedono ai personaggi che compaiono nel film di alzarsi. Non sono attori ma «broker» pentiti, il giornalista di Bloomberg che ha spiegato agli spettatori i segreti dei mutui «subprime», e, soprattutto, donne e uomini neri di Baltimora che hanno perso la loro casa. Sheila, che voleva pagare per un po’ di tempo rate ridotte, ma ha trovato solo porte chiuse; Almalene, che adesso dorme in un’auto, con la figlia; e Denzel, il mite professore che ci ha appena mostrato l’appartamento, l’«american dream» conquistato col lavoro suo e della moglie, che gli è scivolato via dalle mani: le cataste di libri da portare via, i giocattoli della bambina, abbandonati nel fango in giardino.
La sala di proiezione è a un chilometro, in linea d’aria, da Wall Street, ma non si vedono in giro banchieri. Una folla colorita di giovani e intellettuali fa un’ora di fila sul marciapiede dell’Undicesima strada per conquistare gli ultimi biglietti disponibili. Se tra loro c’è qualche «broker», si è travestito bene. Un distinto signore con una bella chioma grigia, dopo mezz’ora di coda, comincia un andirivieni «sospetto » con l’ingresso del cinema. Ancora un po’ e ricompare con alcuni tagliandi che distribuisce agli amici in fila con lui. Favoritismi? Bagarinaggio? Nessuno protesta. Meglio così, perché a fine proiezione scopriremo che quel signore è Andrew Cockburn: marito della regista e produttore egli stesso del lungometraggio. Evita la coda - ma solo perché aveva acquistato il biglietto «on line» - il Nobel per l’Economia Joe Stiglitz. Gli chiedono un commento. Lui elogia gli autori ma non riesce a scaldare la platea: si infila in una disquisizione sulla necessità di far pagare il risanamento delle banche non ai contribuenti ma agli obbligazionisti.
Creato otto anni fa da Robert De Niro per rivitalizzare la parte sud di Manhattan dopo lo shock dell’ 11 settembre, era inevitabile che il Tribeca Festival si occupasse di un altro disastro, stavolta finanziario, che ha il suo epicentro a pochi metri dal sito delle Torri gemelle. Michael Douglas sta pensando di interpretare di nuovo l’avido Gordon Gekko in un seguito di Wall Street, il film dell’ 87. Michael Moore cerca finanzieri disposti a raccontare malefatte proprie o altrui davanti a una cinepresa. Ma a New York (dove anche Soderbergh porta, con The Girlfriend Experience, una storia di prostituzione in un mondo di banchieri in crisi) il traguardo è stato tagliato per prima dalla Cockburn con un documentario un po’ prolisso nel descrivere le vite degli americani rovinati dai mutui, ma che ha due meriti. Intanto mostra in modo efficace come alcune scelte finanziarie spregiudicate hanno prodotto effetti sociali devastanti: sobborghi spopolati, comunità disintegrate, bimbi che abbandonano le scuole, perfino nuove specie di zanzare aggressive che proliferano in California nelle vasche di plexiglas piantate nel terreno per trasformare casette a schiera in ville con piscina. E poi denuncia il ruolo determinante delle «fee», provvigioni incassate dai procacciatori d’affari: la proliferazione dei mutui non nasce da scelte d’investimento errate ma dall’ingordigia per le commissioni: il 4 per cento su ogni affare, anche se folle. Infine il giornalista. Nel film è il «buono», il saggio che denuncia, ma nella vita reale è lambito anche lui dallo scetticismo. A fine proiezione le gente non chiede dei banchieri (la cui condanna è, per tutti, scontata), ma del ritardo col quale i «media» hanno capito quello che stava accadendo.
corriere
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