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15 gen 2009

«Finita l'era degli squali Ora il successo passa per l'altruismo»


L'intervista Il direttore della Luiss sulla recessione
Celli: Non solo ridurre la forbice retributiva tra vertice e dirigenti, il nuovo manager dedichi più tempo agli altri



Quali caratteristiche deve avere il bravo manager in tempi di recessione? Meglio un duro o un morbido, un tecnico o uno stratega, un visionario o un pratico? Pier Luigi Celli è una delle persone più adatte a rispondere, perché è stato nel vertice di grandi aziende, tra cui Omnitel, Eni e Rai, occupandosi soprattutto di direzione del personale. In Omnitel ha reclutato un team di giovanotti diventati poi numeri uno — come Vittorio Colao, capo di Vodafone, Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb, e Vincenzo Novari, amministratore delegato di 3 Italia — e oggi dirige la Luiss, l'università della Confindustria, che i nuovi talenti ha la missione di formarli. Il suo ultimo libro («Comandare è fottere», 30 mila copie vendute) è una provocazione che fa riflettere. «Oggi — risponde Celli — la razionalità strumentale, la padronanza delle tecniche e l'applicazione di buoni metodi non bastano più. Non servono esecutori, ma persone capaci di vedere al di là delle proprie specializzazioni. Serve la capacità di superare quello che io chiamo il pensiero plausibile».

Tradotto in parole povere, il manager dev'essere intellettualmente coraggioso. Deve saper accorciare la distanza tra le decisioni immediate e i progetti, tra l'operatività quotidiana e il medio termine. Questa distanza oggi è troppo lunga e ha generato l'ossessione del risultato finanziario a breve, portatrice di eccessi che hanno arricchito eccessivamente alcuni manager e impoverito le imprese. «Le soluzioni veramente innovative non sono lineari né meccaniche, hanno bisogno di tempo e richiedono investimenti in capitale umano». Dunque vanno cambiati i sistemi di remunerazione? «Sì, bisogna ridurre la forbice retributiva tra il vertice e il resto dei dirigenti e dei dipendenti, che si è allargata a dismisura. Le esagerazioni degli anni scorsi hanno creato nel mondo una casta di semidei, saliti al cielo grazie a meccanismi finanziari in gran parte disancorati dal loro merito industriale ». Ma il cambiamento che si richiede, sostiene Celli, è molto più profondo: «Il nuovo manager dev'essere generoso, deve dedicare tempo ed energia agli altri, perché solo così li può coinvolgere. Il manager egoista, quello che dà il titolo al mio libro, è superato: oggi chi vuol raggiungere il successo deve saper essere altruista».

I tempi di crisi creano ansia e il capo deve saperla assorbire, evitando di scaricarla sui sottoposti. Deve avere «una forte tenuta umana». «La mediocrità di un manager — aggiunge Celli parafrasando il filosofo Emile Cioran — si riconosce dalla sua sicumera». Dottor Celli, l'accuseranno di avere una visione caritatevole del management, proprio ora che si parla soltanto di amputazioni indispensabili. «Ma siamo sicuri che i tagli di personale siano la soluzione giusta? A breve, forse. No, io credo che si debba cercare di non espellere le persone, magari guadagnando tutti un po' meno. La carità non c'entra. Il fatto è che l'innovazione è prodotta dalla ridondanza e più si taglia più si riduce la possibilità di innovare. Senza innovazione non c'è ripresa». Sì, Celli adora provocare, soprattutto quelli del suo ambiente. «La crisi è l'occasione per rimettere in discussione la figura del manager- dongiovanni. Don Giovanni è uno che conquista le donne senza mai amarle veramente. Non ne ricorda neppure i nomi, proprio come molti dirigenti con i propri collaboratori ». Eppure c'è un'Italia, quella delle medie imprese più competitive, che sembra assai vicina a questa visione.

Regioni come Emilia-Romagna e Lombardia sono culla di imprenditori che vedono nella crisi una sorgente, seppur complicata, di opportunità. «Questa gente ha la capacità di rischiare, di assumersi responsabilità pesanti, di leggere in modo lucido segnali confusi. Ha testa e coraggio ». Ma concretamente il bravo manager che cosa fa? «Sceglie gli uomini con cura, ridimensiona le corti basate sulla fedeltà e costruisce un sistema che incoraggia tutti i talenti, anche quelli che sulle prime portano scompiglio». Dal punto di vista retributivo, molte aziende stanno già allargando i piani di incentivazione a una più ampia platea di dipendenti. «Il che significa, visto che siamo in una fase di risorse economiche scarse, che i soldi vengono ridistribuiti e si riduce il divario tra l'alto e il basso. Secondo me è la strada giusta».

corriere

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