
Piu' di mezzo secolo fa la figura del manager, cosi' come oggi la intendiamo, non era ancora nata, perche' esisteva solo la figura del padrone- imprenditore, che da solo riusciva a governare tutte le sue attivita'. I lavoratori dipendevano dal padrone, unico ideale e modello cui riferirsi, figura, dato l'enorme divario, distaccata e quasi irraggiungibile. Nel dopoguerra, con l'avvento del sindacato e le sue prese di posizione, tale distacco si ridusse progressivamente, grazie alla nascita di un diverso rapporto tra i ruoli e uno stile di conduzione maggiormente partecipativo. Quando il padrone, data la crescente complessita' economica e sociale, non fu piu' in grado di controllare e amministrare le relazioni interne e esterne alla fabbrica, nacque il manager, professionista che grazie alla delega di responsabilita' concessagli, doveva e poteva gestire l'organizzazione.
Il manager divenne ben presto un modello di riferimento per coloro che si trovavano ad occupare la base della piramide dell'ancora semplice organigramma. L'acquisizione della professionalita' e della delega acquisita dal manager, comincio' a far emergere nei dipendenti la percezione che il divario tra vertice e base non fosse piu' incolmabile, ma superabile tramite una maggiore professionalita'. Molti lavoratori, ispirati da questo cambiamento di prospettive, considerarono la professionalita' come un possibile canale per raggiungere il vertice, che divenne una sorta di "sogno americano" cui molti concretamente aspiravano. La possibilita' della scalata al vertice contribui' a mitizzare la figura del manager, che divenne un vero e proprio oggetto di proiezione simbolica di un ideale, e a cui si attribuivano qualita' e facolta' che spesso non possedeva. Molti manager aderirono, con una certa vanita', al modo in cui credevano di essere percepiti dagli altri, perdendo cosi' di vista i loro reali obiettivi e il loro contesto di riferimento.
Anche oggi quella del manager rimane una figura contraddittoria, caratterizzata dalla scarsa coerenza tra la concettualizzazione teorica e la vita pratica e quotidiana.
Esistono quattro luoghi comuni riferiti al manager:
1.il manager e' un pianificatore riflessivo e sistematico;
2.il manager non deve svolgere compiti regolari e di routine;
3.il manager deve avere informazioni globali;
4.il management e' una scienza e una professione.
C'e' sempre stata la tendenza ad idealizzare e a considerare oggettive alcune caratteristiche del manager. Questa oggettivita' evidenzia una contraddizione tra teoria del management e realta' organizzativa, tra manager ideale e manager reale. Il manager deve emanciparsi dal mito, vivendo la propria soggettivita' per soddisfare l'esigenza di realizzare il proprio ruolo oggettivo all'interno del suo contesto di riferimento (organizzativo e di mercato). L'equilibrio tra soggettivita' ed oggettivita' e' il punto di partenza per ogni manager che voglia realmente raggiungere gli obiettivi di cambiamento e innovazione, apprendimento e allenamento che il proprio ruolo, l'azienda in cui opera ed il mercato si aspettano da lui. Per far cio' i manager dovrebbero:
* Gestire l'oggettivita', ossia conoscere il proprio contesto di riferimento, captare e interpretare i minimi segnali di cambiamento, avere una visione chiara del mercato e della sua evoluzione.
* Gestire la soggettivita', avere cioe' una conoscenza e una comprensione della cultura dell'organizzazione e delle caratteristiche, delle aspirazioni e delle percezioni delle persone che vi lavorano per contribuire allo sviluppo di un'architettura sociale che stimoli al meglio il capitale intellettuale e per creare un clima che permetta alle risorse aziendali di lavorare in maniera creativa e finalizzata alla ricerca comune di strategie innovative.
manager.it
Nessun commento:
Posta un commento