Ecco un articolo riassunto di un indagine, su cui bisogna veramente riflettere.
Leggete poi ne parliamo:
16 ottobre 2007
Italiani più moralisti che invidiosi: meglio poveri che disonesti
di Alberto Annicchiarico
Ricchi perché disonesti. Ricchi perché spietati. Ricchi in quanto senza morale oppure, peggio, furbi. In qualche caso, furbetti. Anche se la ricchezza, va da sé, fa comodo: un conto florido in banca è garanzia di vecchiaia serena o può servire ad aiutare parenti e bisognosi. Nell'anno 2007 è ancora fortemente conflittuale, diviso tra diavolo e acqua santa, il rapporto tra italiani e denaro: il 76% resta in grande misura ostile agli alti redditi e ai grandi patrimoni e poco meno della metà, il 45%, lo teme, identificandolo con il rischio di esserne privato e con l'ansia permanente che gli darebbe un patrimonio esposto alle invidie e alle insidie degli squali di turno. E solo uno su sette ammette: sì, mi piacerebbe entrare nel ristretto novero dei nababbi, quelli che si fanno lo yacht da 80 metri, alla faccia di chi mi potrebbe affibbiare subito l'etichetta di ladro o delinquente. È un'Italia ancora lontana dai valori del mercato e del liberismo economico quella che emerge dell'indagine demoscopica commissionata da Alfio Bardolla Training Company e realizzata da Astra Ricerche nella prima decade del settembre 2007. Bardolla è un 35enne self-made guru (con laurea in economia bancaria, finanziaria e assicurativa alla Cattolica) "inventore" di un business, quello dei corsi in wellness finanziario, e autore del manuale "I soldi fanno la felicità", manco a dirlo un best seller. Quindi se gli italiani che si dichiarano già ricchissimi sono 1,8 milioni, Bardolla punta senz'altro a quelli che vorrebbero diventarlo ammontano al quadruplo e cioè a 7,1 milioni. Ma anche quelli che mostrano un forte interesse non sono un target da poco, visto che arrivano a 13,1 milioni. Intanto, l'ostacolo maggiore a un cambiamento di mentalità, diciamo meno punitiva o - meglio - più orientata a rimuovere una radicata ignoranza in materia di finanza personale (ancor oggi l'investimento più gettonato resta il mattone, mentre la Borsa è un'opzione del tutto secondaria), è il giudizio della maggioranza degli italiani su chi ha già tanti soldi. La peggiore pubblicità al benessere economico viene proprio da chi dispone di cospicue proprietà: per tre intervistati su quattro lo straricco non può essere accostato a competenza, mentalità giusta, rispetto delle regole, generosità, qualità della vita, perfino felicità, ma con il loro esatto contrario.Sarà anche perché l'80% dei nostri connazionali - dice la ricerca - non ha nulla a che fare con la ricchezza, intesa come reddito elevato e possesso di molte proprietà: specie i 45-64enni, i salariati con i lavoratori autonomi e i pensionati, coloro che hanno la licenza media o elementare o nessun titolo di studio. In quasi nove casi su dieci si tratta di gente che non pensa proprio a darsi da fare per rientrare nella categoria affluent, convinta tra l'altro che la cosa finirebbe con il portare con sé inevitabilmente tragedie e disgrazie.L'11% si definisce benestante, né povero né nababbo. Solamente il 4% riconosce già di essere molto ricco (il restante 6% si rifiuta di fornire informazioni in merito). Sono 1,8 milioni di adulti: spesso 45-54enni, casalinghe (le mogli dichiarano assai o più dei loro mariti locupleti la propria condizione socio-economica), assai più desiderosi della media di crescere ancora in termini di flusso di reddito e di stock di ricchezza, pur riconoscendo in parte l'immoralità che a volte connota la costruzione di grandi patrimoni (anche per frequentazione personale).Nel complesso, a conferma che per gli italiani il denaro è ancora «sterco del Diavolo», il 54% degli intervistati dice di non volere grandi ricchezze per sé (specie dai 45 anni in su, nel nord-ovest, pensionati e casalinghe, soggetti con la licenza media o meno). Il 29% si accontenta d'un qualche benessere (in particolare di parla di persone sotto i 45enni, laziali e metropolitani, ma anche diplomati e laureati, soggetti di classe media e superiore, gli internauti). E, a parte un 3% che preferisce non esprimersi, solo un italiano su sette (7,1 milioni di adulti) afferma di aspirare a diventare davvero molto ricco.
(dal sole24ore)
Per prima cosa, non credo che sia moralismo, ma falsità abbinata ad una buona dose di invidia e spruzzata da ipocrisia.
Sembra di tornare alla storiella della volpe e l'uva...."tanto non era matura! non la volevo" solo perché non era in grado di arrivarci.
Ma perché dobbiamo denigrare le persone che hanno raggiunto degli obiettivi tangibili e remunerativi, facendoli diventare degli imbroglioni e disonesti!
E' un modo errato di concepire la ricchezza.
Essa è il risultato di duri anni di lavoro, di estenuanti ricerche del filone su cui investire e di investimenti a non finire, oltre che una buona dose di culo; ed essa ha generato un benessere della società con posti di lavoro per molti.
Certo nel mucchio troviamo poi chi si lascia trasportare ... e finisce nel mirino dei giudici ... e nella cella!
Ma finiamola con i luoghi comuni e ...impegniamoci per ottenere ciò che vogliamo, sia pure la ricchezza!
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