Riporto un interessantissimo riassunto delle condizioni imprescindibili per fare business, nei vari paesi del mondo, con tanto di relativa classifica finale.
Come al solito l'Italia non figura bene, anzi è per lo più equiparata ad un paese del terzo mondo.
Davvero notevole, e le ragioni sono sempre le stesse:
burocrazia, inaccessibilità (o quasi) dei finanziamenti, trasparenza, rapporto con i lavoratori.
Oggi mi chiedo:
se le cose sono così evidentemente chiare, perché non si fa nulla?
Di solito all'individuazione delle cause si segue con i rimedi!
Perché a qualcuno giova questo stato di cose? all'america forse che tiene in scacco l'economia europea, oppure....?
Fare impresa. Singapore prima al mondo. Italia 53esima
È Singapore il paese al mondo in cui sarà più semplice fare affari nel 2008. L'Italia è solo al 53esimo posto. Ci precedono la Mongolia, il Botswana e la Namibia. È quanto emerge da Doing Business, l'annuale rapporto pubblicato qualche giorno fa dalla Banca Mondiale, che ogni anno pubblica la classifica dei paesi al mondo in cui è più facile svolgere un'attività economica. Sono 178 le nazioni censite. La graduatoria finale viene stilata tenendo conto dei diversi aspetti che caratterizzano un'attività economica: dalle procedure burocratiche per avviare gestire e chiudere un'attività, alla facilità e ai tempi di accesso al credito, alle procedure di assunzione e licenziamento del personale. Per ognuno dei sottocriteri viene poi creata una singola classifica. Aggregando i dati infine si arriva ad ottenere la classifica finale.
Avviare una società.
In Italia ci vogliono in media 13 giorni di tempo per le pratiche di avviamento di un'attività economica. In Australia invece solo due giorni, mentre nel Suriname si arriva allo sproposito di due anni di tempo. Per ottenere tutte le licenze e permessi necessari un imprenditore italiano impiega in media 257 giorni. Più del doppio che in Tunisia dove ci vogliono tre mesi. Per non parlare degli Stati Uniti: nella «terra delle opportunità» bastano 40 giorni e si ottiene tutta la documentazione necessaria. È un'impresa titanica invece aver a che fare con la burocrazia di Haiti. Per avere i permessi ci vogliono più di 3 anni e mezzo. Nella classifica si tiene conto anche dei costi. In Italia un imprenditore dovrà sborsare il 138,2% del Pil pro capite italiano. Si spende molto meno in Ungheria dove in tasse per permessi e licenze si spende solo il 10% del Pil pro capite nazionale.
Rapporto con i lavoratori.
Sul rapporto con i lavoratori, gli analisti della Banca Mondiale hanno dato indici da 0 a 100, assegnati secondo diversi aspetti. La difficoltà di assumere per esempio. L'Italia ha un indice del 33%, la metà circa di quanto hanno ottenuto i «cugini francesi» (67%) e il triplo dell'Iran. In Italia un impiegato costa all'azienda in media il 37% del suo salario, negli Stati Uniti solo l'8 per cento. E gli Usa sono il Paese in cui il rapporto tra azienda e dipendente è più flessibile. Il rapporto «Doing Business» gli assegna un indice dello 0% per quanto riguarda rigidità contrattuale, dell'orario di lavoro, difficoltà di licenziamento e di assunzione. La conclusione del rapporto di collaborazione è a costo zero negli Usa.
Accesso al credito.
La legislazione italiana non aiuta più di tanto un'azienda che deve chiedere un prestito. Il Legal Rights Index, che va da 0 a 10, premia con un punteggio alto quelle nazioni in cui le leggi offrono incentivi e facilitazioni per l'accesso al credito. Il nostro Paese ha un misero tre, molto meno dell'Albania (9) e del Botswana (7). In cima alla classifica ci sono i paesi come la Gran Bretagna (10) e due sue ex colonie come Hong Kong (10) e Australia (9).
Trasparenza.
I furbetti del quartierino e i casi Cirio e Parmalat qualche cosa hanno pesato sul fronte del rapporto tra l'azienda e i suoi investitori. In pagella il migliore risultato del nostro Paese è un 7 in trasparenza delle transazioni. Un voto che sarebbe andato bene a scuola ma che confrontato con il 10 preso da Cina, Bulgaria, Malesia e Timor Est fa riflettere. L'Italia ha poi un 6 in «capacità degli azionisti di sanzionare la cattiva condotta dei vertici aziendali», un 5,7 in «protezione degli investitori» e un misero 4 in «potere contrattuale del singolo azionista».
Chiudere un'azienda. In Italia ci vuole un anno e 8 mesi per chiudere un'azienda e costa in media il 22% del prodotto interno lordo pro capite. Poco di più degli Stati Uniti, dove in media ci vuole un anno e mezzo e con un costo del 7% del pil pro capite e un mese meno della Francia dove costa in proporzione la metà. Ci vogliono 8 anni invece per dire la parola fine a un'azienda in Mauritalia.
(...sole24ore)
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