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7 ott 2019
Il primo cloud hosting basato su container in Italia
Lo sviluppo di servizi di cloud hosting è ormai diffuso a livello standard in tutto il mondo: milioni di accessi a servizi e siti web vengono gestiti mediante piattaforme del genere, che hanno dalla loro facilità d’uso, convenienza e aspetti innovativi di vario genere. C’è anche una considerazione ulteriore da tenere in conto: queste piattaforme sono in grado di gestire, in modo molto più semplice di quanto avvenisse in passato, qualsiasi tipo di applicazione web che possa essere utile ad utenti ed aziende, mettendo così in atto il paradigma della scalabilità e dell’innovazione alla portata anche di non-tecnici.
Tra questi servizi, del resto, una parte importantissima la stanno occupando i cosiddetti container cloud, di cui Kubernetes è la piattaforma open source più usata a tale scopo.
Portabilità, modularità, scalabilità e sicurezza: questi i quattro cardini alla base dello sviluppo basato su container; il principale vantaggio derivante dal loro uso è che si tratta di servizi pronti all’uso, già pacchettizzati e disponibili con tutte le dipendenze (cioè le librerie utilizzate dal software) su richiesta. Uno degli esempi più utilizzati per produrre app e siti con questo approccio è certamente Kubernetes, che fa della filosofia open source uno dei cardini fondamentali per la sua approvazione e diffusione tra gli sviluppatori. Realizzato inizialmente da Google, e poi ceduto ad un’altra azienda in seguito, Kubernetes è un sistema completamente open per automatizzare sviluppo, scalabilità e gestione di applicazioni containerized: questo approccio potrebbe a prima vista sembrare poco chiaro, ma in realtà nasconde uno scenario molto interessante. I container in questo contesto sono, come abbiamo appena detto, un tipo di software che può virtualmente pacchettizzare ed isolare applicazioni di ogni tipo, e renderle sviluppabili. Si evita così di dover includere dipendenze o perdere tempo a riscrivere codice per fare cose che sono già disponibili sul mercato, dando ulteriori funzionalità al programmatore mediante, ad esempio, la condivisione del sistema operativo e, soprattutto, con una novità ulteriore molto interessante: non dover fare uso di una macchina virtuale (VM), la stessa che invece è tipica dei sistemi VPS (Virtual Private Server) tradizionali.
Microservices: API e funzionalità di alto livello pronte all’uso
Kubernetes è stato sfruttato con successo, ad esempio, per la messa a punto dei cosiddetti micro-servizi, ovvero piccole funzionalità isolate o API che possono restituire rapidamente, e con altissima frequenza, risultati di ogni genere. Il tutto venendo così incontro alle necessità dei siti che pubblicano, tanto per fare un esempio semplice, ad esempio le quotazioni in borsa dei titoli o delle criptovalute, che cambiano spesso in pochi secondi e sono troppo difficili da interpretare partendo dalle comuni pagine web. In questo ambito, pertanto, l’uso dei container è ideale, poichè permette di standardizzare l’approccio, sviluppare in modo più snello (se possibile mediante filosofia Agile, ad esempio) e mettere a punto web-service molto più veloci ed efficienti di quelli tradizionali. Andando più nello specifico, i servizi managed (ovvero gestiti, non di basso livello, quindi non solo a disposizione dei classici programmatori) che offrono supporto a Kubernetes si basano inoltre su istanze di public cloud, ovvero sia servizi SaaS che Paas; in molti casi, inoltre, essi offrono già incluso nel prezzo disco rigido, RAM e CPU che sono necessarie al funzionamento degli stessi.
Tra i servizi più famosi che fanno uso di Kubernetes è impossibile non citare la piattaforma Spotify, la celebre ed utilizzatissima app di streaming audio, la quale permette di accedere ad uno dei più grandi database musicali al mondo. Nello specifico, il passaggio a Kubernetes è stato graduale, ed è andato a sostituire l’alternativa (anch’essa open source) di Helios, con il vantaggio di far concentrare i developer sullo sviluppo ad alto livello del prodotto – e senza dovere, nello specifico, “reinventare la ruota” riscrivendo codice che già, di suo, esiste nei microservizi. Anche il servizio di file hosting di Box ha fatto largo uso di questa filosofia di sviluppo, tanto da proporre un keynote ufficiale sull’uso della piattaforma, in particolare per la realizzazione e l’integrazione di micro-servizi in linguaggio Python. L’uso di questo paradigma di programmazione ad alto livello, inoltre, ha reso possibile la pubblicazione di web app e portali, smistando i vari “compiti” da realizzare ad una rete di nodi worker efficienti, veloci ed indipendenti l’uno dall’altro.
PaaS: una piattaforma come servizio
Mentre le applicazioni cloud diventano sempre più potenti e complesse, pertanto, le aziende ed i team di sviluppo tendono a riorganizzare i propri prodotti in termini di microservizi, al fine di velocizzare e rendere gestibili cicli di sviluppo che, diversamente, avrebbero delle tempistiche inaccettabili per il mercato. Tipicamente, infatti, questi servizi sfruttano il paradigma PaaS (Platform as a Service): servizi compatti ready for use, pronti ad essere interrogati come se fosse il motore di ricerca Google, sempre standardizzati a livello di formato (ad esempio JSON o XML).
E in Italia? Di solito nel nostro paese è raro che i servizi tecnologici siano allineati a livello di qualità e di offerta rispetto al resto dell’Europa: ma l’azienda CRITICALCASE, operante dal 1999, offre soluzioni di cloud hosting di questo genere. In quest’ottica, pertanto, si tratta di un’innovazione davvero molto significativa, che le startup e le aziende di informatica potrebbero, presto o tardi, prendere in considerazione.
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