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Ricerca Cer-Confcommercio: dall'inizio della crisi il reddito pro
capite italiano è sceso dell'11% rispetto alla Germania e ogni
famiglia ha perso 3.400 euro di potere d'acquisto. Intanto la
pressione fiscale "morde" le imprese e ogni azienda dedica
l'equivalente di 269 ore di lavoro l'anno ad adempimenti fiscali.
La crisi ha tagliato il reddito pro-capite italiano dell'11% rispetto
alla Germania, del 5% rispetto alla Francia e del 4% rispetto a
Giappone e Stati Uniti. Dal 2007, inoltre, si sta ridimensionando la
dinamica dei redditi nominali, mentre il combinato disposto di bassa
produttività, alta pressione fiscale e inflazione superiore alla media
europea ha provocato una compressione cumulata del potere d'acquisto
pari a 3.400 euro per ogni famiglia. Sono i dati allarmanti che
emergono da una ricerca Cer-Confcommercio, presentata nell'ambito
dell'Assemblea Generale della Confederazione, dalla quale emerge
comunque anche qualche segnale positivo. Come l'andamento confortante
della spesa pubblica: tra il 2010 e il 2013 le uscite primarie sono
diminuite in media dello 0,6% (1,8% in termini reali), un elemento di
netta discontinuità rispetto al passato. E la stabilizzazione della
spesa pubblica, sottolinea lo studio, è requisito indispensabile per
allentare la morsa della pressione fiscale, imprescindibile per
rimettere le imprese nelle condizioni di pianificare la propria
attività di investimento e restituisca fiducia alle famiglie. Basti
pensare che nel 2013 il numero di giorni di lavoro necessari per
pagare tasse, imposte e contributi raggiungerà il suo massimo storico:
162 giorni (ne occorrevano 139 nel 1990 e 150 nel 2000) contro i 130
della media europea (-24% rispetto all'Italia). Per non parlare della
complessità del sistema di prelievo: ogni azienda italiana dedica
l'equivalente di 269 ore di lavoro l'anno ad adempimenti fiscali,
ovvero il doppio della Francia, il 60% in più della Spagna, il 30% in
più della Germania, 85 ore in più della media dei paesi Ue ed Efta. Le
pmi italiane si devono far carico, inoltre, di un onere annuo pari a
10 miliardi per adempimenti fiscali, quasi il 50% in più della media
dei Paesi Ue. In questo quadro, la ricerca sottolinea come sia
prioritaria la sterilizzazione dell'aumento Iva, che determinerebbe
"pronunciati effetti regressivi", penalizzando le famiglie a più basso
reddito con perdite comprese fra i 50 e i 200 euro per nucleo
familiare. Detto della sollecitazione a verificare le modalità di
attuazione del federalismo fiscale e a un maggiore coordinamento fra
le politiche tributarie ai diversi livelli di governo, lo studio
individua una seconda leva da attivare: quella del mercato del lavoro,
visto che la riforma Fornero non sembra in grado di accompagnare le
profonde ristrutturazioni che la crisi sta imponendo al sistema
produttivo italiano. Una volta esaurita la recessione, le linee di
riforma del mercato del lavoro dovranno essere profondamente ripensate
"adattandole alle caratteristiche che andrà assumendo la
ristrutturazione dei processi produttivi e invertendo così una logica
che tenta invece erroneamente di imporre la direzione del cambiamento
attraverso una maggiore rigidità di utilizzo delle singole tipologie
contrattuali".
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