Ottant'anni vissuti da simbolo di una metropoli, di un Paese e di un modo di fare e di vedere le cose in grande. Un'icona americana, l'Empire State Building, che aveva resistito perfino alla nascita delle Torri Gemelle che a 40 anni dalla nascita lo avevano soppiantato, più alte e possenti, ancor più "città nella città" con la loro capacità di ospitare 50mila lavoratori, ma meno affascinanti, meno belle, lontane comunque dal cuore dl Manhattan, dalla 5th avenue. Destinate, semmai, a diventare simbolo postumo, dopo la tragedia dell'11 settembre: così imponenti, marziali prima, così vulnerabili poi.
Il grattacielo che è stato il più alto del pianeta e che dopo l'attentato del 2001 è tornato ad essere il tetto della Grande Mela spegne le 80 candeline il 1° maggio. In quel giorno del 1931, un presidente Usa, il non memorabile Herbert Hoover, schiacciò simbolicamente un bottone da Washington, mentre il figlio del governatore della città fisicamente apriva l'edificio. Il colosso era stato costruito a tempo di record: 14 mesi. I lavori erano cominciare, a ricordare le radici irish della città, il 17 marzo, giorno di San Patrizio, del 1930. Le ruspe sul sito erano arrivate 2 mesi prima.
Curiosamente, uno dei primi eventi per cui la torre fu scelta come testimonial luminoso fu proprio la sconfitta dello stesso Hoover, battuto nel novembre del 1932 da Franklin Delano Roosvelt. Ma il destino mediatico del grattacielo per antonomasia era segnato dalla sua forma inconfondibile, con la grande scanalatura centrale e l'antenna, a voler quasi dare slancio gotico a una struttura che comunque non poteva, e non voleva, nascondere le sue misure. Da lì a poco (1933) arrivò il primo King Kong, con la scena finale del mostro che duella con gli aerei, poi replicata sul World Trade Center nel remake del 1975. Pensato e portato a termine quando la maratona urbanistica che stava rapidamente portando New York a sopravanzare le capitali europee, simbolo di un Paese che aveva bruciato le tappe e si ergeva, tra le due guerre, a prima potenza mondiale, l'Empire è l'emblema della rincorsa.
Il disegno è opera William F. Lamb, dello Studio Shreve, Lamb and Harmon. L'architetto impiegò appena due settimane a completare gli schizzi, ispirandosi a un suo precedente progetto, il Reynolds Building di Winston Salem, e alla Carew Tower di Cincinnati. I due antenati misuravano rispettivamente 20 e 50 piani, a testimonianza di quanto la Grande Mela andasse di fretta. Chi si sofferma un momento sullo skyline di Manhattan percepisce la frenesia di quegli anni: balza subito agli occhi l'evoluzione, anche formale: la casa multipiano si trasforma in un palazzone, alto come molti grattacieli europei di oggi ma non ancora sviluppato in verticale. E infine lo skyscrper. Tutto in 3-4-5 lustri. Scenario visibile a New York e Chicago ma non nelle altre metropoli americane, cresicute negli anni più recenti: lì a Dallas come a Denver, il downtown con edifici da 50 piani nasce all'improvviso, su una periferia di villette e prefabbricati rasoterra.
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