Test sulla crisi sistemica: le 10 banche più a rischioTest sulla crisi sistemica: le 10 banche più a rischio

Un sasso lanciato nello stagno. La pietra va a fondo e le onde si propagano in tutto lo specchio d'acqua. Anche così può raffigurarsi il danno sistemico. Diversi gruppi finanziari, come il sasso, sono talmente grandi e correlati con i mercati che, se vanno a fondo, smuovono e danneggiano l'intero sistema. Una situazione ben nota agli operatori (Lehman Brothers docet) che i legislatori tentano di controllare, se non anticipare.
La legge Dodd-Frank (la riforma di Wall Street) ha assegnato al Financial stability oversight council (Fsoc) il compito di definire i criteri per individuare le istituzioni finanziarie a rischio sistemico. Un compito «quasi impossibile», ha commentato il segretario al Tesoro, nonché presidente del Fsoc, Timothy Geithner. Non la pensano così un gruppo di economisti capitanati dal premio Nobel Robert Engle.
Le 10 banche Usa più a rischio
Il team di esperti della Stern school of business di New York ha individuato (guarda la tabella) le 10 banche che, al 10 febbraio 2011, avrebbero potuto contribuire maggiormente al rischio sistemico. Le prime cinque di queste,BofA, Citi, MetLife, JpMorgan e Aig, «partecipano - scrivono gli economisti - per il 55% all'eventuale sottocapitalizzazione del settore finanziario nel caso di un crash del mercato».
Già, il crash di mercato. È quest'ultimo, in senso lato, il punto di partenza degli "stress test" realizzati dagli economisti. I quali hanno concentrato i loro sforzi su un particolare aspetto: definire per quanta parte, in percentuale, ogni singola società può contribuire ai maggiori costi (del rischio), nell'ipotesi di un collasso del sistema finanziario, cioè di un deficit di capitali.

Il test effettuato
Qual è il ragionamento seguito? Il procedimento si articola in tre fasi: in primis viene stimato, basandosi su serie storiche, quanto il titolo di una banca potrebbe scivolare in una seduta, a fronte di un calo del mercato di oltre il 2%; poi, tenuto conto della "reattività" individuata in precedenza, è calcolata la reazione della stessa istituzione nell'ipotesi di un più ampio ribasso del mercato (il 40%), in un periodo maggiore (sei mesi); infine, la stima della capitalizzazione andata in fumo è "mescolata" con la leva finanziaria: così si determina quanto capitale sarebbe necessario alla banca per affrontare la crisi.
Alla fine salta fuori il Srisk% (Systemic risk contribution), che indica quale percentuale, sulla perdita di capitale totale subita dal sistema, sarebbe "subita" dalla banca durante la crisi. Le società con i valori più alti «non sono solo i "biggest loosers" - sottolineano Engle e i suoi collaboratori-, bensì anche quelle che creano o espandono la crisi».
Fin qui l'analisi. Ma quale l'efficacia di simili "stress test", anche a fronte delle parole di Geithner? Gli autori, da un lato, ricordano che il loro lavoro è «in linea con i test governativi» già realizzati; dall'altro, sottolineano che «l'utilizzo dei dati di mercato permette di evitare le manipolazioni da parte delle società». Rispetto, invece, ai numeri sull'esposizione debitoria? Se è ben vero «che i dati possono essere alterati», proprio il Fsoc potrebbe usare «micro-analisi, o altre fonti», per affinare i test.
«In effetti - spiega Domenico Mignacca, responsabile del risk management di Eurizoncapital Sgr - l'analisi del rischio sistemico, in senso lato, può essere soggetta a errori. Tanto che spesso è indicato un intervallo di confidenza, all'interno del quale il dato può "muoversi"». Ciò detto, «simili valutazioni sono comunque utili. Non tanto per prevedere il futuro, bensì per mettere in guardia: individuare le società che potrebbero avere maggior bisogno di capitale».
«La definizione di valori percentuali così precise - specifica Federico de Vita, risk manager del fondo Acacia - mi lascia perplesso. Basta pensare a Lehman: nel marzo 2006 la probabilità che fallisse era stimata nulla; due anni dopo, era a un livello altissimo. Cioè, la distribuzione dell'evento cambia nel tempo. Ciononostante, lo sforzo compiuto è utile, perché accende un riflettore sul tema del rischio di sistema». Che non è solo delle banche più grandi ma anche, e soprattutto, di quelle più correlate ai mercati
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