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28 mar 2011

Decalogo dei giudici per chi usa Facebook in ufficio (e non rischiare di perdere il posto)


Le interferenze tra social network e rapporto di lavoro sono sempre più frequenti. Alle aziende conviene perciò adeguare le proprie policy, dettando regole chiare per l'utilizzo di Facebook – che è il più diffuso – e degli altri social network.
Un primo gruppo di questioni riguarda l'accesso durante l'orario e sul posto di lavoro. Si tratta di tempo impiegato in un'attività extralavorativa durante l'orario di lavoro e quindi sottratto alla prestazione contrattualmente dovuta al datore di lavoro. È stata coniata al riguardo l'espressione "assenteismo virtuale".
Siamo certamente nel campo dell'inadempimento, che potrà avere conseguenze disciplinari più o meno gravi a seconda della quantità di tempo sottratto al lavoro, della sistematicità del comportamento e delle concrete circostanze del caso. Quasi sempre, poi, gli accessi dal posto di lavoro avvengono utilizzando strumenti aziendali (pc, server e connessione internet), il che può porre problemi di sicurezza del sistema.
Alcuni datori di lavoro affrontano il problema "razionando" i tempi di accesso o limitandoli alla pausa pranzo; altri, rischiando l'impopolarità, lo risolvono bloccando a monte, con un intervento sul sistema, la possibilità di accedere a Facebook e agli altri social network. Si tratta in entrambi i casi di provvedimenti legittimi. Anzi, il blocco preventivo è considerato dal Garante della Privacy, nelle sue Linee Guida per posta elettronica e internet del 1° marzo 2007, preferibile all'effettuazione di controlli successivi, dai quali può derivare un trattamento di dati personali del lavoratore, anche sensibili.
Non va dimenticato, infatti, che i controlli sugli accessi a internet (e quindi anche a Facebook) dal posto di lavoro sono ben possibili, a condizione che il datore di lavoro si doti di una policy sull'utilizzo degli strumenti informatici che disciplini (anche) tempi e modalità dei controlli medesimi, meglio se "validata" da un accordo sindacale o da un'autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro.
Una seconda questione riguarda le possibili conseguenze per il lavoratore – fino al licenziamento – della diffusione di commenti negativi sul proprio datore di lavoro o di informazioni riservate sull'attività aziendale. Facebook, per i suoi stessi meccanismi, è un ambiente pubblico o quantomeno semi-pubblico. Quindi, per i commenti e le opinioni espresse dal lavoratore sul proprio datore di lavoro, si pone lo stesso problema di bilanciamento tra diritto di critica e dovere di fedeltà e riservatezza più volte affrontato dalla giurisprudenza con riferimento a dichiarazioni diffuse tramite giornali, televisioni e altri mezzi di manifestazione del pensiero. La Cassazione, al riguardo, ha più volte affermato che il diritto di critica del lavoratore è sottoposto a peculiari limiti in considerazione degli obblighi di collaborazione e fedeltà che gravano sul dipendente.
E così potranno essere disciplinarmente sanzionabili anche i commenti denigratori che possano recare danno all'impresa, tanto più se arbitrari e gratuiti, così come la diffusione di notizie e informazioni riservate. Naturalmente, spetterà al giudice valutare in concreto la gravità del fatto e, quindi, la proporzionalità della sanzione eventualmente irrogata dal datore di lavoro al dipendente, tenendo conto del contenuto delle dichiarazioni, dell'ambito di pubblicità e della finalità delle medesime, dell'intenzionalità della condotta.
Un'ultima questione riguarda l'abitudine, ormai piuttosto frequente, di utilizzare Facebook per attingere informazioni sui candidati all'assunzione. Questo comportamento viene sovente giustificato con il fatto che si tratta di informazioni personali che lo stesso soggetto sceglie di rendere in qualche modo pubbliche, quantomeno in ambiti particolari ("amici" o "amici degli amici"). Ma il problema è un altro.
L'articolo 8 dello Statuto dei Lavoratori, richiamato anche dal Codice della Privacy, vieta qualsiasi indagine, anche pre-assuntiva, non solo sulle opinioni del lavoratore, ma anche su qualsiasi fatto che non sia rilevante ai fini della valutazione dell'attitudine professionale. La ricerca di informazioni personali sul candidato tramite Facebook è quindi da considerarsi illecita, ma è anche pericolosa per chi la effettua, dal momento che la violazione dell'articolo 8 dello Statuto dei lavoratori è sanzionata penalmente.

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