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16 mar 2011

Libia, attacco dei lealisti a Misurata «In 48 ore Bengasi sarà riconquistata»

NEGLI SCONTRI 5 MORTI E 11 FERITI. IL FIGLIO DI GHEDDAFI: PRESTO TUTTO FINITO

L'Eni annuncia: «Interrotta la produzione di petrolio in Libia»

Soldati a Ras Lanuf, 600 km a est di Tripoli (Ansa)
Soldati a Ras Lanuf, 600 km a est di Tripoli (Ansa)
MISURATA - Almeno cinque persone sono morte e altre undici sono rimaste ferite dopo che le forze lealiste libiche hanno sottoposto a un bombardamento a tappeto di artiglieria pesante la città di Misurata, circa 200 chilometri a est di Tripoli, ultimo importante bastione degli insorti nella Libia occidentale: lo hanno riferito fonti mediche locali, contattate telefonicamente, e il bilancio delle vittime è poi stato confermato dagli stessi ribelli. Questi ultimi hanno peraltro affermato che, sebbene «la città sia sotto attacco da tutti i lati», in particolare da est e da sud, «ne manteniamo ancora il controllo, e siamo riusciti a catturare due carri armati». Gli stessi rivoltosi hanno sostenuto anche che «l'offensiva è stata respinta», e che «l'intensità del fuoco è relativamente diminuita». L'assalto dei governativi contro Misurata era comunque atteso da diversi giorni.

IL FIGLIO DI GHEDDAFI - Intanto il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Saif al Islam, in un'intervista a Euronews promette che nelle prossime 48 ore le operazioni militari saranno finite, con la riconquista di Bengasi: «Le operazioni militari sono finite. Nelle prossime 48 ore sarà tutto finito. Le nostre forze sono quasi a Bengasi», ha detto Saif, aggiungendo che qualunque decisione sarà adottata dalla comunità internazionale, compresa quella su un'eventuale zona di interdizione di volo, arriverà «troppo tardi».

FRANCIA - Sulla crisi libica interviene il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè, attraverso un messaggio on-line inserito sul proprio blog, secondo cui numerosi Paesi arabi sarebbero pronti a partecipare a un'operazione militare multinazionale in Libia per fermare l'avanzata delle forze fedeli a Muammar Gheddafi verso gli ultimi capisaldi dei ribelli. «Soltanto la minaccia della forza può fermare Gheddafi», scrive Juppè. «È bombardando le postazioni degli oppositori, con le poche decine tra aeroplani ed elicotteri di cui in realtà dispone, che è riuscito a ribaltare la situazione. Noi possiamo, o potremmo, neutralizzare i suoi mezzi aerei attraverso bombardamenti mirati», prosegue, riprendendo un'idea del presidente Nicolas Sarkozy. «È quanto Francia e Gran Bretagna vanno proponendo da due settimane. A due condizioni: ottenere un mandato in tal senso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, unica fonte nel diritto internazionale per ricorrere alla forza», ribadisce il capo della diplomazia di Parigi. «E agire non soltanto con il sostegno, ma anche con la concreta partecipazione delle Nazioni arabe. Questa seconda condizione è in procinto di essere soddisfatta», assicura Juppè nel messaggio. «Parecchi Paesi arabi ci hanno infatti assicurato che parteciperebbero a un'iniziativa del genere». Al riguardo il ministro degli Esteri cita in particolare il Libano, insieme al cui ambasciatore al Palazzo di Vetro quelli francese e britannico «hanno appena presentato al Consiglio di Sicurezza una bozza di risoluzione che ci garantirebbe l'atteso mandato». Juppè ricorda poi che Sarkozy e il premier britannico David Cameron hanno «chiesto solennemente» allo stesso Consiglio di esaminare il testo e di «adottarlo» affinchè si possa passare all'azione. «Accade spesso nella nostra storia recente che la debolezza delle democrazie dia mano libera ai dittatori», ammonisce in conclusione. «Non è tardi per rompere con tale regola».

SCARONI - In Italia sul caso Libia si registra l'intervento dell'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni a margine di un'audizione alla Commissione Bilancio della Camera. «Abbiamo terminato la produzione di petrolio in Libia anche a causa di un problema di spedizioni», ha detto Scaroni, aggiungendo che in Libia l'Eni «produce gas per uso domestico, alimentando tre centrali elettriche nella zona di Tripoli». È, ha concluso, «un'attività che consideriamo positiva per i libici e che vorremmo evitare di interrompere». Ai giornalisti che gli chiedevano se i rapporti con la Libia siano da considerarsi compromessi, Scaroni ha risposto «assolutamente no». «Non li considero affatto compromessi», ha detto, aggiungendo che l'Eni «mantiene rapporti con la National company libica, che è l'interlocutore naturale. Qualsiasi situazione politica si avrà nel futuro avrà una natural company con dei contratti e dei rapporti con noi, quindi non vedo ragioni perché i rapporti debbano essere compromessi».

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