Metti mi piace

15 mar 2011

Il cofondatore di Twitter stratega sociale di Aol

Biz Stone assunto dal megasito appena nato dall'unione tra America on line e Huffington Post. Si occuperà dell'"impatto sociale" e sarà strapagato. Una mossa che suscita polemiche perché segue il licenziamento di mille dipendenti


NEW YORK - Prima cacciano mille dipendenti 1. E poi assumono il manager incaricato di studiare l'"impatto sociale" delle loro iniziative. Naturalmente pagandolo a peso d'oro: perché si chiama Biz Stone ed è nientedimeno che uno dei "padri" di Twitter. Per il confondatore del minisocialforum non ci poteva essere regalo più bello per i cinque anni che la sua creatura festeggia proprio oggi. E che naturalmente non ha nessuna intenzione di mollare. L'uomo che la vocazione per il business ce l'ha già nel nome (Biz, appunto) diventa lo "strategic advisor" per il "social impact" del super-mega-iper-sito appena nato: Aol-Huffington Post 2. E che cosa sarebbe mai il "social impact"? Il ragazzo, va detto, è da tempo impegnato nel campo della filantropia - ha lanciato con la moglie una fondazione molto attiva. Con il suo consulto potrà adesso coordinare per Arianna Huffington e Tim Armstrong quelle "campagne Internet e videoweb dal valore fortemente sociale" con cui spera di spingere le compagnie di tutt'America "a pensare a nuovi modi di fare business". 


Una bella scommessa: gli esperimenti del genere - pensate al consorzio Red lanciato da Bono e altri - non è che si siano rivelati 
sempre un business. L'affare, però, intanto lo fa lui, Mister Stone: per la consulenza gli sarebbero state assicurate un bel po' di azioncine di Aol. D'altronde c'è da mettersi subito al lavoro. Il nuovo supergruppo del web ha annunciato che al battesimo del restyling - previsto in questi giorni - lancerà una grande campagna di sensibilizzazione sociale. Accompagnata da un serie di articoli sul Post sull'impegno delle charity e l'aiuto ai più bisognosi. 

Naturalmente i maligni insistono: l'iniziativa sa tanto di pubbliche relazioni per rifarsi la faccia dopo le critiche per i tagli del personale. E magari per far passare sotto silenzio anche le altre assunzioni eccellenti. Come l'exNew York Times John Montorio a cui è stato affidato il settore cultura e spettacoli. O lo stesso direttore editoriale Howard Fineman che aveva lasciato Newsweek prima che affondasse (e quando l'arrivo al timone della maga Tina Brown, che in questi giorni lo sta rilanciando, era ancora lontano). 

Il più entusiasta per ora resta sempre lui, Biz. Che ha dato personalmente l'annuncio del nuovo incarico - naturalmente su Twitter - sbandierando anche il suo particolarissimo manifesto. "Prima che a Twitter avessimo un ufficio vendite" ha scritto sul suo blog "avevamo un gruppo di persone dedicate all'innovazione sociale" - e quindi all'impegno per gli altri eccetera eccetera. 

La predica, non c'è che dire, è ottima. Ma da quale pulpito? Per carità: il business è business. E non per niente quello tra Aol e Huffington Post è stato sbandierato da subito come un matrimonio d'interesse. L'ex gigante del web - che l'amministratore Tim Armstrong sta cercando di riportare ai fasti di un tempo - era del resto già finito in un letto sbagliato: quello di Time Warner. Ricordate le nozze del secolo? Concluse a torte in faccia: e a leccarsi - entrambi - le ferite dei debiti. Così quando il portale che ha fatto la storia d'America è andato a prendere in sposa Arianna Huffington - col suo Post dei miracoli - ha portato sì come regalo di fidanzamento 315 milioni di dollari, ma anche l'impegno di fare pulizia. 

Una sforbiciata cominciata già in casa Aol: come poteva giustificare, il gigante, i suoi 112 milioni di utenti di dote, a fronte però di 5.700 dipendenti - contro i 26 milioni portati invece dal sito d'informazione più battagliero e sinistrorso d'America, che di dipendenti ne aveva solo 200? Così Aol ha tagliato 900 teste: 700 in India, con tanti saluti ai ragazzi dell'outsourcing, e 200 negli States. E l'Huffington Post ha seguito l'esempio: pronto a sfoltire non si sa ancora quanti giornalisti ma primi tra tutti i blogger che - gratis e per l'onore - avevano contribuito al successo del sito. Capite insomma perché s'è inalberato tanto un blogger (stipendiato e ben pagato) come Peter Kafka del gruppo Wall Street Journal? Ma come, dice, voi tagliate e intanto assumete Mr. Twitter? 

Sì, probabilmente ha ragione lui. Ma si sa: a volte anche le vie del paradiso possano essere lastricate d'inferno.

Nessun commento: