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28 feb 2011

Romiti: «Gravissimo se Mediaset entrasse nella carta stampata»

A SkyTg24: «Non credo alle smentite di Confalonieri: chissà cosa c'è dietro»

Cesare Romiti (Ansa)
Cesare Romiti (Ansa)
MILANO - Se Mediaset si interessasse alla carta stampata sulla scorta della norma sugli incroci tra tv e stampa contenuta nel decreto Milleproroghe «sarebbe un ulteriore gravissimo passo della nostra economia e del nostro sistema di vita». Lo ha detto Cesare Romiti in un'intervista con Maria Latella su SkyTg24, sottolineando che peggiorerebbe il «sistema di libertà» garantito dai giornali italiani. Romiti ha affermato di non credere alle affermazioni del presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che ha definito «stupidaggini» le ipotesi di un ingresso dell'azienda nella proprietà di quotidiani come il Corriere della sera. «Non ci credo», ha aggiunto il presidente onorario di Rcs, «perché quando uno fa queste dichiarazioni dietro chissà cosa ha».

SCUOLA - Romiti ha poi parlato delle affermazioni di sabato di Berlusconi sulla scuola pubblica. «Sono dispiaciuto dalle affermazioni del presidente del Consiglio, perché gli insegnanti ci mettono molta abnegazione e amore, si sacrificano. Se il premier è convinto di quello che ha detto, deve chiamare il ministro dell'Istruzione e chiedergli di dimettersi».

LIBIA - Il presidente onorario di Rcs è stato molto duro anche sull'argomento Libia. Verso Gheddafi, ha detto Romiti, «è stata fatta una politica da parte governativa, e non parlo di questo governo ma in generale, di accondiscendenza, come se arrivava babbo Natale dal deserto. Bisognava - ha proseguito Romiti -, essere più dignitosi, difendere meglio le nostre aziende, che oggi sono in grande difficoltà». Quanto al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi «ha preso le distanze forse un po' tardi».

SENZA VERGOGNA - Romiti ha anche molto insistito su una parola: vergogna. O meglio, la sua scomparsa: «I giovani hanno una sensibilità grandissima. Quando qualcosa non va lo dovrebbero dire. Oggi abbiamo perso un sentimento che è quello della vergogna. Non ci vergogniamo più».

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