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10 gen 2011

«Offro un patto di pacificazione Sosterremo le iniziative serie»

OFFERTE DI D'ALEMA? SCELGA TRA ME E VENDOLA. TUTTI INSIEME E' UN REGALO A BERLUSCONI»

Casini: pronti a valutare un sì al federalismo anche senza quoziente familiare

Casini (Ansa)
Casini (Ansa)
Presidente Casini, a che punto è la discussione con Berlusconi? 
«Siamo fermi al 14 dicembre, alla ricerca di qualche deputato in più. Intanto il Paese perde competitività, non dà un futuro alle nuove generazioni, vede la disoccupazione giovanile superare in molte regioni il 50%. Una fascia sempre più ampia del ceto medio scivola verso la povertà. I tempi della giustizia sono quelli di prima. E il premier enumera una quantità esorbitante di riforme che ha visto solo lui. Credo ci vorrebbe un po' più di riflessività».


Voi cosa offrite a Berlusconi?
«Non a lui, ma all'Italia, proponiamo una scelta di responsabilità. E di pacificazione. Al presidente del Consiglio suggerisco: non gingillarti su un parlamentare in più o in meno. La legislatura è partita con 70 deputati di maggioranza, e oggi siamo alla contabilità della stagione di Prodi. Vogliamo prendere atto che qualcosa è cambiato? Vogliamo evitare al Paese di avvitarsi in 4 mesi di percorso elettorale che alla fine riproporrebbe lo stallo attuale, dopo aver esposto l'Italia alla speculazione internazionale? Non è meglio mettere le carte in tavola alla luce del sole? Tutto il resto sono scorciatoie anche un po' degradanti. È una scorciatoia pensare che un partito che sta all'opposizione e oggi ha preso l'iniziativa di un nuovo polo possa sedersi su qualche poltrona ministeriale, di cui non ci importa assolutamente nulla. Ed è degradante la presunzione di autosufficienza che si scontra con realtà».


Eppure Berlusconi si dice convinto di allargare la maggioranza. Lei è sicuro della lealtà dei suoi deputati?
«Il 14 dicembre tutti e 35 i deputati Udc hanno votato la sfiducia. Dubbi non ne ho. Se poi Berlusconi avrà attinto da qualche parte qualche parlamentare in più, cosa cambierebbe? Stiamo parlando del nulla».


Ma lei potrebbe mai tornare ad allearsi con Berlusconi?
«Se per alleanza con Berlusconi si intende rimettere le lancette dell'orologio indietro di dieci anni, mi pare molto difficile. È passata una stagione. Non la rinnego. Ne sono orgoglioso, perché mi ha consentito di servire il Paese da presidente della Camera, con un certo riconoscimento da parte di tutti della mia serietà. Certo, ho creduto a cose che non si sono realizzate. Probabilmente ho anche sbagliato alcuni passaggi».


Quali errori ha commesso?
«Pensare che certe anomalie del percorso di Berlusconi si sarebbero riassorbite col tempo. Invece per certi versi si sono addirittura accentuate. Ma l'analisi non l'ha certo sbagliata Berlusconi; ero io che dovevo capire. Diciamo scherzosamente che lui ha dato un bel contributo per farmelo capire meglio... Oggi il gruppo dirigente del Pdl appare ansioso di allearsi con noi. Ma due anni fa, quando ci misero alla porta, tutti zitti. Non una sola voce, non un colpo di telefono per dirmi che forse stavano sbagliando».


Neppure Gianni Letta?
«Letta è di un altro pianeta. Questa però è la politica. Pensi a quel che è successo tra me e Fini. In termini personali ero certamente più risentito con lui che con Berlusconi. Infatti siamo stati un anno senza parlarci. Poi mi sono chiesto se in politica una persona può concedersi il lusso di recriminare sul passato. Ho risposto di no, e ho messo da parte tutto. E' giusto guardare al futuro. Peraltro sono rimasto sconcertato da questa campagna di aggressione nei confronti di Fini, incompatibile con quel garantismo che dovrebbe ispirare il Pdl. Vedo troppa violenza verso Berlusconi, ma anche troppa violenza degli ambienti berlusconiani verso gli altri. L'Italia non ha bisogno di faziosità, ma di pacificazione».


Questo come si traduce in concreto?
«La nostra opposizione è responsabile e repubblicana. Accasarci in qualche ministero sarebbe da opportunisti. Ma noi sentiamo che è necessario suonare uno spartito diverso. Non offriamo la pacificazione a Berlusconi, ma al Paese; e riteniamo che gli italiani la vogliano. Non possiamo sederci sulla sponda del fiume e compiacerci delle cose che non vanno, perché tanto stiamo all'opposizione».


Quindi cosa farete?
«Se il governo porterà in Parlamento iniziative serie, noi le sosterremo. Alla luce del sole. Se il governo proporrà cose che riteniamo sbagliate, ci opporremo. Non possiamo essere una forza di complemento della maggioranza, ma sfidare il premier a elevare la qualità del suo stesso governo. Obama ha fatto la riforma del fisco con l'opposizione. Berlusconi è disponibile a fare ciò che gli chiediamo a sostegno delle famiglie?».


Conferma che, in cambio del quoziente familiare, sareste disponibili a votare il federalismo?
«Il federalismo è già stato votato, e noi siamo stati gli unici a votare contro. Oggi siamo ai decreti attuativi. Siccome si discute di imposte locali, abbiamo proposto che anche in questo contesto si tenga presente la necessità di salvaguardare le famiglie. Il quoziente familiare era nel programma del Pdl. Sappiamo benissimo che oggi sarebbe difficilmente compatibile con i conti pubblici. Però tra il quoziente famigliare e il nulla c'è una prateria. Qualcosa va fatto».
Per cui basterebbe qualche misura di fiscalità di vantaggio per il vostro sì?
«Il nostro giudizio politico sul federalismo non è cambiato. Il voto dei prossimi giorni ha un suo forte contenuto di tecnicalità. Noi vogliamo che i nostri tecnici lo migliorino, e ci riserviamo una valutazione con gli amici delle altre forze politiche che con noi compongono questo nuovo polo».


Quindi non si va al voto anticipato?
«Non sta a noi la scelta. Nella maggioranza sento opinioni molto diverse. Si chiariscano le idee e ci facciano sapere».


Ma è Tremonti, oltre a Bossi, che non vi vuole nella maggioranza?
«Si favoleggia su contrapposizioni tra l'Udc e Tremonti. Da parte nostra, non esistono. Se esistono da parte sua, non è un problema nostro. Ho letto sui giornali una disamina molto preoccupata di Tremonti. Credo vada presa sul serio. Tremonti mostra responsabilità nel dire che la crisi è tutt'altro che passata. Ne deduco logicamente che sarebbe pura irresponsabilità avvitarci ora nella campagna elettorale. Se questa consapevolezza è comune all'intera maggioranza, bene. Se invece si pensa di farci una concessione a non andare ad elezioni anticipate, per carità: andiamoci pure. I ritardi italiani sono ormai così profondi che il distacco tra la gente e la politica è simile a quello della stagione di Tangentopoli. Oggi siamo a un bivio drammatico: porsi il problema di vincere le elezioni, o quello di fare le scelte radicali necessarie a governare. Prima o poi l'Italia arriverà a un punto in cui il tema di una grande coalizione non potrà essere eluso».


Ma un governo di grande coalizione, magari a guida Tremonti, si può fare già in questa legislatura?
«Si può fare quando chi vince le elezioni ne ha la consapevolezza. Io questo discorso l'ho sempre fatto a Berlusconi, in pubblico e in privato, le rare volte in cui l'ho visto. E sarà giusto riproporre questo discorso all'indomani di eventuali nuove elezioni, chiunque vinca».


D'Alema le offre un'alleanza e dice: "Casini deve scegliere". Il Pdl parla di intimidazione. Lei cosa risponde?
«Non mi sento per nulla intimidito da D'Alema, un amico con cui ho da tempo un dialogo proficuo. Ma D'Alema finge di non capire che io ho già scelto. L'unica cosa che mi può far cambiare opinione è che scelga il Pd; cosa che si ostina a non fare. Il Pd cerca semmai di assemblare; ma io non sono assemblabile. Noi non possiamo fare alleanze di governo con chi sbandiera il giustizialismo come Di Pietro, o con chi come Vendola sceglie la Fiom anziché la Cisl e la Uil, Landini e non Bonanni. Come si fa a pensare di poter proporre a un paese come l'Italia una coalizione da Casini a Vendola? Non solo io umilierei la mia storia, accettandola. Sarebbe una coalizione incapace di governare. E quindi un regalo enorme a Berlusconi».


Se invece il Pd scegliesse lei e non Vendola?
«Penso che il Pd sia a questo bivio. Non so se farà una scelta precisa. Ma se non la farà, non sarà credibile. Galleggerà, riprenderà i voti di una sinistra storica che ancora c'è, ma non potrà governare con l'area moderata, con il nuovo polo».


A che punto è il polo della nazione? E' un cartello elettorale, o diventerà un partito?
«Oggi è un cartello elettorale, in cui ciascuno sta secondo la sua individualità e la sua sensibilità. E' chiaro che al momento giusto faremo una proposta chiara, lineare, definita per il governo del Paese. Un'idea diversa dalle suggestioni che ci hanno abbagliato in questi anni».


E le divergenze sui temi etici?
«Sono più montate che reali. La grande maggioranza dei parlamentari di Fli la pensa esattamente come noi».


Avvenire ha criticato il terzo polo. Ruini si è espresso a favore di un impegno dei cattolici per la stabilità.
«La Chiesa va ascoltata. Sempre. Anche quando dice cose sgradite o non condivise. Sono devoto estimatore e amico del cardinal Ruini. Francamente, mi convince di più quando parla dei valori eticamente non disponibili, che quando difende il maggioritario e il bipolarismo, che in Italia hanno dato pessima prova. Non credo che su questo la Chiesa abbia il dogma dell'infallibilità. Diverso è il discorso sui valori non disponibili. Quando il Parlamento calendarizzerà il voto sul testamento biologico - e ricordo che l'Udc è l'unico gruppo ad averlo richiesto formalmente -, si potrà realizzare quell'unità di tutti i cattolici richiesta a Reggio Calabria dal cardinal Bagnasco. Non solo parti della maggioranza, ma amplissime parti del nuovo Polo e molti esponenti del Pd voteranno insieme. Ma le questioni etiche non diventeranno certo il laboratorio di alleanze politiche. Guardiamoci dal neoclericalismo di chi utilizza la Chiesa per motivazioni ben poco nobili».

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