Il medico personale di Berlusconi si confessa nel mensile in edicola: «Questi quiz d'ingresso non servono a stabilire se i ragazzi hanno attitudine a diventare bravi dottori»
Alberto Zangrillo, medico personale di Berlusconi, dirige l'unità operativa di anestesia e rianimazione generale e la terapia intensiva cardiochirurgica al San Raffaele di Milano (Reuters) |
Genitori, come comportarsi se l'esame è un fallimento
La copertina di "Ok Salute" di gennaio |
Nella mia professione mi è capitato di incontrare e di dover disilludere medici già formati che, pur avendo avuto risultati eccellenti in prestazioni nozionistiche, non erano in grado di rapportarsi al malato o di lavorare in squadra. Ci vuole tempo. Bisogna lasciare spazio ai ragazzi perché prendano confidenza con la materia ed entrino nel vivo della pratica quotidiana prima di mettere loro un bollino: in o out. Sarei dell'avviso di creare dei questionari di valutazione da svolgere in itinere. Poi, penserei a un percorso prefissato e rigido: un tot di esami in un tot di semestri. Se non stai al passo, se non cresce in te la responsabilità allo studio e all'applicazione puntuale e costante, allora sì, sei fuori. Ai miei tempi, quando la prospettiva di diventare medico era più fortunata si diceva "per fare il medico ci vuole passione". Lo si ripeteva in un modo forse un po' convenzionale, con una frase che col tempo si è logorata. Ma adesso per realizzare questa passione bisogna fornire una buona performance in un quiz e non mi pare certo un salto di qualità. Con una prova del genere, sarei stato bocciato anch'io. Sono entrato a Medicina quasi per ripicca, per dimostrare alla mia professoressa di matematica del liceo che non ero un ragazzo da zero, come pensava. Ero così poco avvezzo all'ambiente medico che ogni volta che entravo in ospedale avevo una crisi lipotimica, cioè svenivo, per colpa dell'odore di disinfettante.
Si può essere giudicati così?
Ai miei tempi non c'erano test, però so bene che a vent'anni non ero certo pronto per essere giudicato idoneo o meno alla professione. Quella della sfiducia di un'insegnante nei miei confronti fu una spinta negativa, ma fondamentale, nel farmi fare una scelta che non sarei credibile se definissi ponderata. I miei presupposti erano insufficienti, erano una sorta di sfida e credo che la mia storia rappresenti una prova del fatto che per diventare un buon medico non occorre superare un test che fa una sorta di selezione profilattica. La passione non è un innamoramento, un'idea, un'immagine di sé, ma è quella responsabilità che nasce, cresce, matura nel tempo e che costringe a un lavoro costante. Ho iniziato studiando come un pazzo la teoria, poi mi sono appassionato alla pratica. Ho capito che fare il medico era la mia vocazione e solo allora ho scelto l'anestesia come specialità. Le mie abilità le ho affinate dopo, le mie peculiarità le ho scoperte cammin facendo
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