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5 dic 2010

Nell'inverno nella Debra Granik la rivelazione è jennifer Lawrence

Vince "Winter's Bone" con la Lawrence: per lei si parla di Oscar
Un verdetto finale raggiunto all’unanimità per un Festival che, come da promessa, ha lasciato la parola solamente ai film. E non delude la scelta della giuria guidata da Marco Bellocchio, che con Winter’s Bone della regista americana Debra Granik, ha premiato come miglior film e miglior sceneggiatura una storia dura, intensa, resa ancora più incisiva dalla rivelazione Jennifer Lawrence nel ruolo dell’adolescente Ree Dolly sulle tracce del padre delinquente in fuga dopo avere impegnato la casa della famiglia.

Una «caccia» per la sopravvivenza immersa nei cupi boschi del Missouri. E attenti a questa giovane bionda attrice nata in Kentucky, già apparsa in The Burning Plain di Arriaga con Charlize Theron e che rivedremo prestissimo nel ruolo di Mystica in X-Men: First Class , attenti perché per la sua drammatica interpretazione in Winter’s Bone - premio al Tff come migliore attrice ex aequo con Erica Rivas, protagonista di Por tu culpa di Anahì Berneri -, c’è chi Oltreoceano ha parlato di una possibile candidatura all’Oscar.

La vittoria come miglior attore è andata all’inglese di origine persiana Omid Djalili per Infidel di Josh Appignanesi, acida commedia sulla crisi di un tranquillo musulmano che scopre di essere stato adottato e che i suoi veri genitori sono ebrei. «Ho letto Un gelido inverno , da cui ho tratto il film, tutto d’un fiato - aveva raccontato la regista di Winter’s Bone Debra Granik, il cui film aveva già avuto critiche positive al Sundance e a Berlino -. Mi è sembrato un grande racconto vecchio stile».

D’accordo sulla scelta della giuria anche il direttore del Tff Gianni Amelio: «È un film perfetto dove tutti gli elementi, dalla storia all’ambientazione agli attori, sono miracolosamente omogenei ed emozionanti». Un direttore soddisfatto di questa 28ª edizione, che ha avuto più di 17 mila spettatori e un aumento del 15% degli incassi rispetto all’anno scorso: «I film erano tutti di buon livello, e sapere che in certi casi la giuria ha dovuto sacrificare a malincuore qualcuno, è la massima soddisfazione per chi riveste questo ruolo come me. Se sarò qui anche l’anno prossimo? Vogliamo allora pensare già al sesto o alla crisi del settimo anno? - provoca Amelio -. Voglio dire che la mia disponibilità c’è tutta. Amo Torino, qui ho fatto il mio film migliore e il Festival è un modo di diventare torinese, ci vivo ormai quattro mesi all’anno».

Il premio speciale della Giuria se lo sono spartito il coraggioso film canadese Les signes vitaux di Sophie Deraspe su una giovane donna con un grave menomazione agli arti che assiste malati terminali e Las Marimbas del Infierno di Julio Hernàndez Cordòn, ambientato in Guatemala, sull’originale sodalizio tra un suonatore di marimba disoccupato e un ex metallaro satanista. Film, quest’ultimo, che si è aggiudicato anche il premio Cipputi per la migliore opera sul mondo del lavoro: «Cordòn documenta l’ostinazione e la capacità di adattamento.

Un paradigma, insomma, di quello che la trasformazione del lavoro sta provocando in molte professioni». Per Italiana.Doc altro ex aequo per il premio speciale della Giuria tra Il Popolo che manca di Andrea Fenoglio e Diego Mo metti e Les Champs Brûlants di Stefano Canapa e Catherine Libert. Il Popolo che manca , in particolare, è un affresco che intreccia le testimonianze di contadini e montanari delle valli cuneesi raccolte da Nuto Revelli con quelle dei loro discendenti.

E per il primo anno il Torino Film Festival aveva dato la possibilità al pubblico di votare il proprio preferito: non combacia con la scelta della giuria ufficiale, ma premia il cinema italiano: è Henry , il noir sul mondo dell’eroina di Alessandro Piva, con una Carolina Crescentini ipnotica più che mai.

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