Con un quarto d'ora di applausi finali, lancio di fiori e acclamazioni, in particolare per il direttore Daniel Barenboim, si è conclusa trionfalmente ieri sera la Walkiria che ha inaugurato la stagione della Scala a Milano (in scena fino al 2 gennaio). È passata indenne da contestazioni anche la regia avveniristica del belga Guy Cassiers, già definita «la Walkiria della sfera (non della palla) che gira». Una Walkiria che ha al centro Barenboim: dal l'inizio, quando a braccio parla al teatro, citando con fermezza l'articolo 9 della Costituzione, in difesa della cultura, alla fine, quando suggella l'opera con un indimenticabile Incantesimo del fuoco. È tutto suo questo Wagner, diretto a memoria, il leggio usato solo come deposito di asciugamani, tre bicchieri di plastica pieni di acqua sorbiti a ogni atto, a ristoro, in corsa. È lui il motore dell'opera. Ma con una direzione così, è lui anche il motore dell' intera stagione Scala. Non ci sono dubbi: non è solo scaligero Barenboim, è il direttore principale del teatro. Lo aspetta il prossimo 7 dicembre, 2011: farà Mozart, Don Giovanni.
Oggi Barenboim rilegge La Walkiria in maniera molto diversa rispetto alle sue edizioni precedenti del Ring a Bayreuth, vent'anni fa. Ma anche molto diversa, nella tinta, dall'ultimo Tristano della Scala. Oggi chiede un Wagner scuro, materico, diviso nelle linee cromatiche nei timbri in orchestra. Molto originale, senza precedenti nella memoria. Si vorrebbe dire molto moderno, se il termine non fosse abusato. Certo è una Walkiria che scorre in perfetta sintonia con l'anima di quanto si vede in scena. Dove la regia di Guy Cassiers utilizza a piene mani i linguaggi dell'arte concreta contemporanea: essenziale, con un ampio uso di proiezioni. Non sempre necessarie, specie quando finiscono sulle facce dei cantanti, maculati, o quando creano un intoppo vistoso alla scena del bosco nel secondo atto, che per un problema tecnico rimane illuminato a metà. Il crescendo sul piano delle emozioni è comunque tangibile.
Dunque non consolatoria, non trionfale. Anzi, al contrario, è tragica questa Walkiria. Anche nell'Incantesimo del fuoco, nel finale del terzo atto, che di solito è momento di puro virtuosismo orchestrale, con le sue lame sfolgoranti, Barenboim chiede colori divisi, già Novecento. Non il tradizionale amalgama Ottocento. Aggiungendo da ogni linea un profilo aspro, tagliente, inquieto. Ottenendo dal l'Orchestra uno sfoggio di virtuosismo fantastico: archi, legni, ottoni, arpe, timpani: il cuore di Walkiria batte in buca.
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